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Dopo le festività un ritorno alla normalità, con il consumo di formaggi semigrassi.

 

di Fernando Marzillo

Ora che l’Epifania tutte le feste si è portata via, possiamo, se vogliamo, fare i conti con ciò che queste giornate ci hanno lasciato in eredità.

Un probabile affaticamento fisico causato da abbondanti pranzi e cenoni, ci suggerisce di rientrare in carreggiata anche attraverso il consumo di formaggi con un titolo di grasso contenuto, senza per questo fare sorridere chi nei confronti del cibo offre il fianco.

Numerosi i formaggi a lunga stagionatura ottenuti da latte parzialmente scremato e perciò semigrassi.

Tra i più noti, il Grana Padano D.O.P. e il Parmigiano Reggiano D.O.P. che ancora oggi si ottiene con il latte di due mungiture, una delle quali (quella serale) sempre scremata per affioramento naturale. In passato, anche il latte del mattino subiva una leggera scrematura. Formaggi semigrassi sono pure l’Asiago D.O.P. e il Monte Veronese D.O.P. entrambi d’allevo nelle loro differenti tipologie, il Valtellina Casera D.O.P. ed il formaggio Nostrano Valtrompia D.O.P. di origine bresciana.

Curioso il Formaggio di Fossa di Sogliano D.O.P. la cui origine della materia prima spesso ovina risulta notoriamente ricca di grasso. Nonostante ciò nel corso della stagionatura in fossa, per effetto della temperatura prossima ai 16- 18 °C e del peso che grava sui formaggi sovrapposti, si assiste ad un calo peso di circa il 10% costituito prevalentemente da grasso che colando si deposita sul fondo in un incavo appositamente preposto.

Tra i formaggi a breve stagionatura voglio citare il Quartirolo Lombardo D.O.P. formaggio tipico regionale e di originaria produzione autunnale. Se prodotto con latte parzialmente scremato come prevede il disciplinare di produzione, il suo apporto calorico è contenuto (solo 297 k/cal. per 100 grammi di prodotto). Trova spazio nella buona cucina sia consumato in purezza, sia come ingrediente di piatti primaverili-estivi. Tagliato a cubetti, unito a pomodorini crudi e zucchine saltate, viene aggiunto all’orzo bollito.

In Valle D’Aosta, originariamente indicato con il termine “fromage commun o fromage ordinarie”, è il Valle d’Aosta Fromadzo D.O.P. cugino povero della più conosciuta e grassa Fontina, ma non per questo in grado di trovare utilizzo in cucina per zuppe e minestre. A seconda della quantità di grasso asportata durante l’affioramento, si ottiene un formaggio a basso contenuto di grasso (% sulla sostanza secca inferiore al 20) o semigrasso (% sulla s.s. tra il 20 e il 35).

Tipico della cultura casearia piemontese, è il Raschera D.O.P. Citato spesso al femminile (la Raschera), indica calore, condivisione e familiarità che intendo annoverare come ingredienti storici-culturali e latte parzialmente scremato come ingrediente reale.

A completare, tanti formaggi P.A.T. (Prodotti Alimentari Tradizionali), come il Casolet, il Morlacco, il Graukase, alcune tome piemontesi, e varie tipologie di ricotta (che però formaggio non è).

Ma quale è il significato per cui nella tradizione casearia, tanti formaggi vengono ottenuti utilizzando un latte parzialmente scremato? Oggi la scrematura riveste un ruolo tecnologico e dietetico, ma in passato si è affermata anche in quello economico e culturale. Economico perché le quotazioni del burro sono sempre state assai remunerative soprattutto negli territori dove il suo sostituto naturale (olio) era difficilmente reperibile. Culturale perché una dieta ricca di grassi rispondeva alle esigenze di una vita contadina che necessitava di grandi quantità di burro per poter meglio affrontare lavori pesanti e rigori invernali.

Tralasciando il passato, oggi la tradizione casearia ci consegna in eredità una varietà di formaggi che diventano marcatori alimentari e culturali perché ci suggeriscono che all’interno di una categoria di alimenti spesso definita a rischio salute, non si può mai generalizzare fermo restando che, tutti i formaggi portano insieme al loro nome un curriculum invidiabile per i benefici che apportano al nostro organismo.

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