Sessant’anni di salvaguardia di territori e prodotti
La storia che ha portato all’attuale suddivisione, indice di garanzia per il produttore e per il consumatore. I disciplinari di produzione.
Che confusione! Nel dopoguerra italiano l’anarchia regnava sovrana nel settore caseario. Le produzioni non seguivano alcuna specifica ufficiale. Formaggi prodotti con tecniche diverse venivano commercializzati con lo stesso nome o quasi. Fino al punto che il consumatore difficilmente riusciva a distinguere tra prodotto originale e prodotto copiato.
1951, la prima suddivisione
A fare pulizia ci pensò la conferenza di Stresa del 1951. Aderirono Italia, Francia, Belgio, Svizzera, Austria, Danimarca, Svezia, Olanda e Norvegia. Tre giorni di summit che “partorirono” un primo grado di ordine nel settore, con una classificazione del formaggio che prevedeva due categorie.
Categoria A: i formaggi “prodotti tradizionalmente, osservando usi locali, leali e costanti, in zone di produzione geograficamente delimitate, dalle quali traggono le loro caratteristiche”.
Categoria B: i formaggi “prodotti osservando usi tradizionali, leali e costanti, che traggono la loro caratteristica dal metodo di produzione”.
I primi vennero chiamati a Denominazione d’Origine, i secondi a Denominazione Tipica.
Nel settore caseario italiano le prime Denominazioni di origine controllata (D.O.C.) furono assegnate nel 1955, in base a una legge elaborata l’anno precedente (n.125/54), prima ancora che una normativa analoga venisse studiata per i vini.
1992, l’attuale suddivisione
Andò tutto bene, o quasi, fino alle soglie del 2000. Quando il tema del giorno divenne la globalizzazione. Che sconvolse tutto. Soprattutto i mercati e l’economia. Dando vita al fenomeno della contraffazione, constatabile da Occidente ad Oriente.
La Comunità Europea fu praticamente costretta a correre ai ripari emanando dei provvedimenti (regolamenti) che tutelassero le produzioni agroalimentari, nel rispetto del consumatore, delle tradizioni locali e dello sviluppo del territorio d’origine.
Così predispose un unico sistema di tutela dei prodotti tipici, sia all’interno dell’Unione stessa, sia in campo internazionale, che permettesse al consumatore di riconoscere in modo chiaro e semplice un prodotto tipico attraverso dei marchi di tutela.
A riconoscimento delle culture e tradizioni locali, la Comunità Europea emanò tre livelli di tutela dei prodotti tipici.
Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.)
E’ un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dalla Comunità Europea (CE) agli alimenti le cui caratteristiche peculiari dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono prodotti.
L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva.
Affinché un prodotto sia D.O.P. le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. Chi fa prodotti D.O.P. deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Il rispetto di tali regole viene garantito da uno specifico organismo di controllo. Con i prodotti a marchio D.O.P. il legame tra il territorio e la produzione è indissolubile: se dovesse cambiare anche solo una caratteristica del luogo d’origine, allora anche il prodotto finale non sarebbe più lo stesso.
Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.)
Indica un marchio di origine che viene attribuito dalla Comunità Europea a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un’area geografica determinata.
Per ottenere la I.G.P., quindi, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. Chi produce I.G.P. deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Il rispetto di tali regole viene garantito da uno specifico organismo di controllo.
Il marchio I.G.P., come il D.O.P., sottintende un legame con il territorio d’origine, ma in maniera meno stretta e vincolante. Infatti, alcune fasi della lavorazione possono essere condotte anche in un luogo diverso da quello certificato.
Specialità Tradizionale Garantita (S.T.G.)
E’ un marchio di origine volto a tutelare produzioni che siano caratterizzate da composizioni o metodi di produzione tradizionali. Questa certificazione, disciplinata dal regolamento CE 2082/92, diversamente da altri marchi, quali D.O.P. e I.G.P., si rivolge a prodotti agricoli e alimentari che abbiano una “specificità” legata al metodo di produzione o alla composizione legata alla tradizione di una zona, ma che non vengano prodotti necessariamente solo in tale zona.
Il marchio S.T.G., quindi, si riferisce non tanto a un luogo preciso di produzione, quanto a un prodotto ottenuto mediante materie prime tradizionali di un territorio, ovvero con l’utilizzo di tecniche di produzione/trasformazione tradizionali, legate a usi o costumi particolari.
In questa categoria rientrano molti formaggi italiani, ma non tutti. In realtà ne esistono moltissimi che sono esclusi dal registro speciale pur essendo prodotti secondo antiche tradizioni casearie o con un forte legame territoriale.
Spazio ai prodotti di nicchia
Dopo il varo di questa suddivisione, l’agricoltura italiana dovette comunque affrontare lo scenario della politica agricola dell’Unione Europea confrontandosi in condizioni nettamente svantaggiate. L’agricoltura moderna, estremamente indirizzata verso la meccanizzazione, richiede estensioni di terreno pianeggiante che in Italia difettano, sia per la configurazione naturale orografica, sia per l’antropizzazione spinta del territorio. Inoltre, i prodotti italiani di nicchia non trovavano spazio.
Le produzioni limitate in termini quantitativi e relative ad aree territoriali molto ristrette, tali da non giustificare una D.O.P. o una I.G.P., incontravano molte riserve all’Unione Europea, la quale temeva che si confondessero.
Prodotti Agroalimentari Tradizionali (P.A.T.)
Per reagire a questa situazione il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali decise nel 2000 di salvaguardare i settori di nicchia, valorizzando i prodotti agricoli o dell’allevamento che venivano lavorati secondo antiche ricette attraverso una specifica etichetta.
I Prodotti Agroalimentari Tradizionali (P.A.T.), dunque, sono una cosa tutta italiana, l’ultima categoria di alimenti abbinata a una politica di qualità nel campo agro-alimentare. Rispecchiano nuove esigenze e tendenze da parte sia dei consumatori, sia dei piccoli produttori locali.
Il “sistema” dei prodotti tradizionali è regolamentato dal D.M. del 18 luglio 2000 pubblicato nel supplemento originario n. 130 della Gazzetta ufficiale n. 194 del 21 agosto 2000 “Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali”.
Il ministero, però, rinunciò a un ruolo attivo nell’iniziativa, delegando il compito alle Regioni e conservando solo un ruolo ufficiale.
Per prodotti tradizionali, si intendono quelle produzioni e beni agroalimentari a carattere di tipicità, con caratteristiche tradizionali, le cui procedure nelle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura, risultano consolidate dal tempo.
Il requisito per essere riconosciuti come P.A.T. è quello di essere “ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni”.
I P.A.T. sono prodotti inclusi in un apposito elenco, predisposto dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali con la collaborazione delle Regioni.
La lista viene regolarmente aggiornata sulla base della compilazione di schede tecniche che identificano i nuovi prodotti. Sono esaminate, per l’individuazione: la descrizione delle caratteristiche salienti, le metodologie della lavorazione, la conservazione, la stagionatura.
I Presidi Slow Food
La stessa strada, ma, se vogliamo, ancora più estrema per quanto riguarda i prodotti di nicchia, ha seguito l’associazione Slow Food, che concorre alla tutela e al rilancio di produzioni tradizionali, artigiane e a rischio di scomparsa. Si propone di far conoscere tutta una serie di produzioni minori, non industriali, che stanno ricevendo negli ultimi anni sempre maggiore attenzione da parte del consumatore, attraverso zone tutelate chiamate Presidio Slow Food.
I Presidi sostengono le piccole produzioni eccellenti che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano mestieri e tecniche di lavorazione tradizionali, salvano dall’estinzione razze autoctone e antiche varietà. I Presidi coinvolgono direttamente i produttori, offrono l’assistenza per migliorare la qualità dei prodotti, facilitano scambi fra Paesi diversi e cercano nuovi sbocchi di mercato (locali e internazionali).
giuseppe amodio says
come si ottiene il riconoscimento di un prodotto pat ?
redazione says
I formaggi PAT non hanno un vero e proprio riconoscimento, sono solo inseriti in un elenco redatto dalla regione di appartenenza, in base alla ricerca effettuata sul territorio. Bisogna infatti che un PAT venga prodotto da almeno 25 anni così come recita un brano della legislazione: ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni
Domenico grasso says
Come si ottiene un marchio per poter valorizzare il proprio prodotto al 100% naturale ?
Stefano Meriggi says
Buongiorno,
mi potete spiegare la differenza tra trasformazione ed elaborazione? Sono sinonimi oppure esistono delle differenze?
Grazie in anticipo.
Stefano Meriggi.
Claudia Eder says
Wir produzieren den typischen Ahrntaler Graukäse. Wie erhalten wir das PAT Siegel, was muss man da tun
Was sind die genauen Voraussetzungen dafür
Mit freundlichen grüßen
Claudia Eder, Hofkäserei Moarhof