Valutazione
Scendono in campo gli esperti
Operazioni sapienti e attrezzi appositi che consentono di verificare lo stato del formaggio in più fasi e in tempi diversi.
Per valutazione si intendono quelle operazioni essenziali per verificare lo stato del formaggio in più fasi e in tempi diversi. È il casaro, ovviamente, il primo a valutare, nel senso fisico della parola, i vari momenti della caseificazione.
Considera la struttura della cagliata e sceglie il momento del taglio. Studia la consistenza della pasta per accertarsi dell’attimo idoneo, importantissimo, per estrarla dalla caldaia. Esamina anche il latte e il siero, attraverso prove acidimetriche. Stabilisce il momento in cui addizionare il caglio e quando è ora di estrarre il formaggio dalle fascere o dalle fuscelle.
L’operazione più nota quando di parla di valutazione di un formaggio è quella che verifica la maturazione della pasta in fase di stagionatura e stabilisce il momento della commercializzazione. L’operazione è definita “espertizzazione”. Viene effettuata normalmente dal casaro, che provvede a tutta la filiera del formaggio, o da esperti professionisti che si occupano solo di questa complicata pratica. Si effettua in particolare sui formaggi a pasta semidura e dura, attraverso la spillatura, la carotatura e la battitura.
Gli attrezzi dell’esperto
Per le prove di “espertizzazione” vengono utilizzati tre attrezzi che aiutano l’esperto a non aprire la forma del formaggio, assaggiandone piccole porzioni, o addirittura a utilizzare sistemi “indolori”.
Spillatura
Nella spillatura si usa lo “spillo”, una sorta di ago a vite in acciaio che viene prima infilato nel formaggio, poi estratto e annusato. Attraverso questo processo, l’esperto capirà lo stato di maturazione come eventuali difetti del formaggio.
Carotatura
La carotatura, invece, si effettua con il “carotatore”, attrezzo in acciaio che permette, dopo essere stato infilato con moto rotante nella forma, di estrarre un campione a forma di carota, da qui il nome. Dal campione estratto l’esperto effettuerà prove visive sulla pasta, al fine di verificarne l’aspetto; tattili, per constatarne, ad esempio, l’elasticità (è il caso della Fontina Valdostana D.O.P.); ma anche olfattive.
La scelta
Cosa bisogna sapere per scegliere il formaggio che fa per noi…
Chiedere al rivenditore che alimentazione hanno avuto le lattifere e se erano al pascolo o no. Controllare in etichetta se il latte è crudo o pastorizzato
Davanti a un bancone ricolmo di formaggi di varie tipologie è difficile andare a botta sicura. Forme, marche, etichette, informazioni: disorientarsi è un attimo. Anche perché uno dei nostri sensi più acuti, la vista, ci condurrà inevitabilmente verso una scelta che non avrà nulla a che vedere con la qualità del prodotto. Neanche un assaggio risulterebbe determinante: stabilirà se il formaggio selezionato è o non è di nostro gradimento, ma per quanto riguarda gli indizi capaci di indirizzarci verso la qualità siamo ancora lontani…
Di solito, la domanda comune che gira nella testa di chi compra è: “Che formaggio scelgo oggi?”.
Una volta individuata una tipologia interessante da portare a tavola, a rimorchio arriverà un secondo interrogativo: “Come faccio a capire che è un prodotto di qualità?”.
Bisogna fare le domande giuste al venditore. E cioè…
Da dove viene quel formaggio? Chi lo produce? Il latte utilizzato è di vacca, di pecora, di capra, di bufala? E’ stato lavorato a crudo o pastorizzato? Che stagionatura ha avuto? E’ un D.O.P., è un formaggio tradizionale, è un formaggio di “fantasia”?
A questo punto, come andranno valutate le domande del venditore, non essendo un esperto?
Il vademecum che segue potrà esservi utile nelle considerazioni che andrete a fare.
Le qualità organolettica di un prodotto
Dipendono dal tipo di allevamento (stabulazione fissa, libera o allo stato brado) e dalla qualità dell’alimentazione delle lattifere e dalle erbe contenute nella razione giornaliera dell’animale, siano esse verdi o affienate. Maggiore saranno la quantità e la varietà di erbe mangiate, minore sarà la quantità di latte prodotto, ma più elevata sarà la complessità aromatica e nutrizionale.
In linea generale, infatti, il latte che dà migliori risultati è quello prodotto dagli animali al pascolo.
In altri termini
+ Erbe = – Latte + Qualità
Come riconoscere un formaggio da latte di animali
allevati allo stato brado
Se deriva da latte di vacca sarà di colore paglierino, grazie all’alto contenuto di beta-carotene che dall’erba ingerita passa al latte. Nei formaggi di pecora, di capra e di bufala la colorazione non avviene perché questi animali trasformano nel fegato il beta-carotene in vitamina A. Va anche detto che in Italia la stragrande maggioranza delle pecore e delle capre è allevata al pascolo, mentre le bufale sono stabulate in stalla. I formaggi fatti in alpeggio, nei luoghi dove le lattifere possono muoversi liberamente e alimentarsi con erbe spontanee, conservano, per ovvi motivi, un plus valore.
L’alimentazione verde è determinante per la qualità nutrizionale di latte e formaggi e si misura registrando il rapporto omega6/omega3 e il Gpa (Grado di protezione antiossidante). Il Gpa determina la capacità di un nutriente di bloccare l’ossidazione del colesterolo: più il valore è alto, più l’ossidazione del colesterolo è tenuta sotto controllo. Gli omega 6 e omega-3 sono acidi grassi polinsaturi, rispettivamente chiamati acido linoleico e acido alfa-linolenico.
Questi acidi grassi sono detti essenziali, poiché l’organismo non è in grado di sintetizzarli e devono essere introdotti con una dieta. Una volta assunti, i due nutrienti sono convertiti per via enzimatica in altri acidi grassi polinsaturi.
In particolare, l’acido linoleico è il capostipite degli acidi grassi della serie omega-6, mentre a partire dall’acido alfa-linolenico si ottengono gli analoghi della serie omega-3. I livelli e l’equilibrio degli acidi grassi delle due serie sono importanti per la prevenzione e il trattamento di patologie coronariche, ipertensione, diabete di tipo 2, disordini immunitari e infiammatori.
Un rapporto omega 6-omega 3 basso è indice di buona salute.
Latte pastorizzato, trattamento non indolore
Al momento della caseificazione per alcune produzioni, anche tradizionali, il latte viene pastorizzato.
Qualsiasi trattamento termico sulla materia prima non è indolore, starà all’esperienza del casaro, magari inoculando il latte con fermenti lattici o lattoinnesto o sieroinnesto, guidare le fasi produttive affinché il formaggio non cada nella banalizzazione. In questo caso l’etichetta del prodotto ci può venire in soccorso, riportando se il latte impiegato è crudo o pastorizzato.
C’è inoltre da dire che i formaggi D.O.P., essendo tutelati e controllati da severe disposizioni, regolamentate da un disciplinare, garantiscono una produzione inappuntabile, sia dal punto di vista dell’alimentazione, sia delle lattifere, sia del processo caseario.
Stagionatura, meglio se naturale
Un ruolo non marginale giocano i locali dove si completa la stagionatura del formaggio. Il microambiente naturale favorisce i processi di maturazione del formaggio, così come l’uso del legno, perché rappresenta un’ottima matrice per la moltiplicazione della flora microbica autoctona.
La stagionatura di un formaggio caratterizza il formaggio stesso e lo “localizza” nel territorio di origine.
Ma non finisce qui…
L’ardua impresa di come scegliere un formaggio finisce qui? No, proprio no.
Se il banconiere si è dimostrato preparato e vi ha fornito notizie dettagliate sull’origine e le caratteristiche organolettiche del formaggio che vi interessa, avremo fatto un passo in avanti, ma non saremo in grado di capire anticipatamente se stiamo acquistando un formaggio di qualità.
L’etichetta o la scheda tecnica esposta sono sempre sinonimi di trasparenza.
Approfittiamone. Gli ingredienti citati devono menzionare il latte, il caglio e il sale.
Qualora vi fossero indicati anche i conservanti o altre materie, chiediamo ragguagli.
Sappiate, però, che non è sempre dequalificante la comparsa di un quarto ingrediente come, ad esempio, il lisozima, un conservante naturale derivante dall’uovo. Ricordate che in Italia la garanzia di salubrità dei formaggi è garantita da severissimi controlli a tutti i livelli della filiera produttiva, quindi l’etichetta è un riferimento sicuro e credibile.
Artigianalità e industria
Inoltre, ci sentiamo di dire che la qualità non è sempre sinonimo di artigianalità o pastorizia. Un’industria può produrre tranquillamente formaggi di qualità alta. Inoltre è in grado di esibire un’etichetta completa del prodotto che, spesso, spazia dall’origine alle caratteristiche commerciali dei prodotti utilizzati.
Etichetta
Cosa c’è nell’etichetta di una confezione di formaggio
- Ingredienti (di solito limitati a tre: latte, sale, caglio)
- Come e quando è stato confezionato
- Conservazione
- Crosta se mangiabile (edibile) o no. Se non c’è scritto nulla, la crosta non è edibile
- Se ci sono conservanti. Se non vengono indicati, significa che non ce ne sono
- Peso
- La data di scadenza (da consumarsi entro…) o il termine minimo di conservazione (da consumarsi preferibilmente entro…)
- Informazioni nutrizionali
- Eventuale marchio di tutela giuridica della denominazione (Dop o altri)
- Eventuale autorizzazione del Consorzio di tutela
- Fermenti lattici
Attenzione: se tra gli ingredienti compare la sola parola “latte”,
si evince che sia latte di vacca
Invece della sede dello stabilimento produttivo del formaggio acquistato viene riportato un codice composto di lettere e numeri: esempio “IT 5 CE”. E’ il cosiddetto “marchio di identificazione” (ben conosciuto come bollino CE) e serve proprio a rintracciare lo stabilimento autorizzato da cui un prodotto alimentare di origine animale proviene. Indica il Paese ove è situato lo stabilimento (IT: Italia), il codice dello stabilimento (5) e l’abbreviazione della Comunità Europea. Tutti possono consultare i registri degli stabilimenti autorizzati in Italia, distinti per categorie di produzioni, nel sito del Ministero della Salute.
Cosa spesso non c’è e invece dovrebbe esserci
Se il latte impiegato è crudo o pastorizzato.
Quanto sale c’è.
Presenza di fermenti lattici. Molto spesso non vengono indicati, nonostante siano utilizzati quasi sempre.
Consiglio
Non mangiate croste trattate con cera o paraffina o se non c’è scritto “edibile”.
Maxantin recensioni says
Grazie mille per l’articolo. è geniale… Buon lavoro !