L’Italia: unica, bella, buona
Perché i prodotti agroalimentari italiani, come il formaggio, sono così diversi tra loro? Certo, ci sono differenze climatiche tra nord e sud che fanno la differenza. Ma non solo…
Trovare l’Italia su una carta geografica mondiale è facile. La sua forma originale, la collocazione nel sud dell’Europa e, soprattutto, la conformazione di penisola circondata quasi esclusivamente dal mare costituiscono un colpo d’occhio inequivocabile per l’osservatore. Il territorio, lungo e stretto, si attacca al resto dell’Europa attraverso le vette più alte, le Alpi, come fosse un ginocchio articolato al resto della gamba. Pare proprio che voglia scalciare tutto ciò che naviga nel Tirreno meridionale.
Il territorio, già… Una sorta di magia.
L’Italia è un territorio morfologicamente unito con orientamento nord-sud, nord-est, sud-ovest, legato da una spina dorsale, gli Appennini.
Dove tutto è estremo. Si va dalle vette alpine che superano i 4.000 metri, ai territori isolani come la Sicilia e la Sardegna. Dai 30 gradi e oltre, allo zero delle Alpi, ai caldi africani. Differenze incredibili a distanze contenute. La Sicilia dalle Alpi dista circa 1.200 km. Non tanti. Come un niente divide le coste della Sicilia dall’Africa: 150 km. L’influenza del continente africano è quindi notevole sul sud dell’Italia, tanto quanto quella dei Paesi centro-europei sul nord.
La morfologia del suolo, la vegetazione, la fauna selvatica e quella allevata, sono fortemente rapportate al clima, creando una moltitudine di diversità. Con fattori distintivi che valgono anche per i formaggi.
Dove insiste un clima freddo indiscutibilmente non potrà essere prodotto un formaggio che predilige un clima mediterraneo. E viceversa.
Ciò non toglie che un formaggio prodotto al sud sia consumato con piacere anche al nord. E viceversa. L’Italia ha talmente tanto da offrire in proposito che non teme confronti.
Ma perché i prodotti agroalimentari italiani sono così diversi tra loro? Si tratta solo di differenze climatiche o ci sono altri fattori che fanno la differenza?
In questo spazio tenteremo di dare una risposta che possa, sinteticamente, accontentare la curiosità del consumatore e del turista che progetta un viaggio in Italia anche per assaporarne i gusti e i sapori.
Attenzione, però, le nostre saranno giocoforza risposte non esaustive a causa della vastità del tema formaggi italiani. Basti pensare che i P.A.T., ovvero quelli iscritti nei registri delle Produzioni Agroalimentari Tradizionali, sono la bellezza di 474, mentre i D.O.P., quelli riconosciuti dalla C.E. come prodotti a Denominazione di Origine Protetta arrivano a 44. Mancano all’appello un S.T.G e un I.G.P.
Avete contato bene, stiamo parlando di 520 varietà di formaggi riconosciute, alle quali ne andrebbero aggiunte almeno altre 200, forse molte di più: sono le tipologie di cosiddetta “fantasia”, cioè soggette a libera interpretazione.
Il variegato panorama dei formaggi italiani s’inserisce nelle Produzioni Agroalimentari Tradizionali, che comprendono tutti quei prodotti derivati dall’agricoltura, i quali raggiungono, senza le denominazioni europee, il numero di 4.670. Questa è l’Italia. Unica, bella e buona!
L’ITALIA DEI FORMAGGI
Dal nostro punto di vista, ovvero quello dei formaggi, ci sentiamo in dovere di suddividere l’Italia in tre grandi bacini geografici che comprendono diverse regioni. Suddivisione che non corrisponde a quella ufficiale, classica perché ha un solo scopo: spiegare al consumatore a caccia di gusti e sapori perché nell’Italia settentrionale ci sono delle eccellenze, al centro delle altre, al sud altre ancora. Che per storia, cultura, clima e territorio vanno collocate e, soprattutto, rispettate.
ITALIA SETTENTRIONALE
Si identifica con il territorio compreso tra le regioni a nord, ovest ed est delle Alpi, mentre a sud il confine corrisponde alla dorsale appenninica fra Emilia Romagna e le Marche, fra l’Emilia Romagna e la Toscana e fra la Liguria e la Toscana. Questo grande bacino si divide in due: zona pianeggiante della Pianura […]
ITALIA CENTRALE
Geograficamente è ben identificabile per la presenza della dorsale nord degli Appennini. Nella nostra particolare suddivisione dell’Italia, invece, interessa le regioni a sud dell’Emilia Romagna: Toscana, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Puglia. Dalla Toscana in giù, l’Italia diventa davvero penisola. […]
ITALIA MERIDIONALE
La nostra suddivisione dell’Italia in base a una “visione” casearia inquadra il sud come il territorio dalla Campania in giù, la Basilicata, la Calabria e le due isole maggiori, Sardegna e Sicilia, la propriamente detta Area Mediterranea, se si escludono le montagne della Sila, che si riconoscono nelle aree […]
ITALIA SETTENTRIONALE
Si identifica con il territorio compreso tra le regioni a nord, ovest ed est delle Alpi, mentre a sud il confine corrisponde alla dorsale appenninica fra Emilia Romagna e le Marche, fra l’Emilia Romagna e la Toscana e fra la Liguria e la Toscana. Questo grande bacino si divide in due: zona pianeggiante della Pianura Padana e territorio montano delle Prealpi e Alpi. Presenta diversità morfologiche molto evidenti, sia per la conformazione del territorio, sia per la sua storia, con inevitabili implicazioni sociali.
Le Alpi
Il clima delle Alpi va a braccetto con le catene montuose che riparano dai venti freddi del nord Europa, ma anche dai flussi caldi del sud che trovano, nelle Prealpi, un ostacolo insormontabile. Nel territorio alpino le precipitazioni avvengono con maggiore intensità nel periodo estivo più che in quello invernale, al contrario che nel sud dell’Italia. Dal punto di vista morfologico, le vallate, ad eccezione della Valtellina e di altre minori, sono orientate da nord a sud e i fiumi che le percorrono scendono verso la Pianura Padana.
Si va dalle vette più alte d’Europa, nella parte occidentale dell’arco alpino, fino alle montagne dolomitiche e della Carnia ad est. Le vallate salgono ripidamente a quote spesso superiori ai 2.500 metri sul livello del mare, dove le temperature scendono abbondantemente sotto lo zero nel periodo invernale e non lasciano spazio al caldo in estate. Incastonati nelle vallate spiccano i laghi, piccoli o grandi che siano, da quelli che raccolgono il ghiaccio che si discioglie sulle vette maggiori a quelli di grande estensione come il Garda. La loro incidenza sul clima determina grandi diversità nelle tipologie della flora, tanto da modificare l’assetto morfologico dei territori.
Gli animali per sopravvivere
In un territorio così vasto, ma anche disomogeneo per altitudine, clima e naturalmente vegetazione, si inserisce l’attività casearia. Ha origini antichissime, sin da quando i popoli del nord dell’Europa, scavalcando i valichi alpini, scendevano nelle vallate colonizzando tutto e tutti. Le civiltà del nord Italia hanno sempre utilizzato gli animali per sopravvivere. Dagli alpeggi traevano il maggior profitto in estate, quando lasciavano le mandrie e le greggi pascolare liberamente, mentre d’inverno nutrivano gli animali con il fieno sfalciato mesi prima. Nascevano quindi formaggi in grado di alimentare a lungo le famiglie, perché si poteva, in ambienti naturali, grotte, cantine o altri siti mantenerli commestibili a lungo.
I formaggi freschi o di breve stagionatura, però, quasi non esistevano. Non c’erano i presupposti per conservarli, o meglio poteva avvenire esclusivamente in quei luoghi dove le grotte sostituivano le attuali celle frigorifere, come in Valsassina (Lecco).
Giocoforza, prevalevano i formaggi d’Alpe, quei formaggi la cui cagliata poteva essere tagliata finemente e magari cotta, conservando al suo interno un po’ d’acqua con lo scopo di avviare una stagionatura lunga.
Il latte vaccino come economia
Nel territorio alpino si allevano vacche, così come capre e pecore, ma la vera economia è sempre stata rappresentata dal latte vaccino. Proprio grazie alla monticazione e ai pascoli l’uomo del nord ha dato vita a quella che nel centro dell’Italia chiamano transumanza.
I bovini in inverno venivano allevati nelle stalle, piccole o medie, e in estate monticavano nelle malghe, laddove le lattifere si alimentavano al pascolo e il casaro produceva il formaggio. Attività non dispendiosa, grazie alla gratuità delle erbe selvatiche, e basilare per l’allevatore, che poteva, in assenza di una stalla da organizzare, occupare il proprio tempo per fare il formaggio necessario per l’alimentazione invernale. Tutto ciò ha permesso all’uomo di stabilire delle regole casearie basate su un’unica problematica: la programmazione del proprio sostentamento.
Così in queste regioni si utilizzava particolarmente il burro, energetico per tutte le stagioni. Tant’è che il latte veniva scremato per ricavare la panna per il burro. Da qui il perfezionamento della tecnologia dei formaggi semigrassi, imperante in tutto l’arco alpino, dal Fromadzo in Valle d’Aosta, al Montasio in Friuli.
Un retaggio che oggi consente di trovare tanti altri formaggi a pasta semigrassa in Piemonte, Lombardia e Veneto.
Ma anche formaggi nati dall’impossibilità di scremare il latte in alpeggi dove mancava tutto, da un locale idoneo all’acqua. Uno di questi è il Bitto, che ancora oggi viene fatto nei calec, ruderi all’aria aperta.
L’arco alpino resta caratterizzato da questi formaggi di media pezzatura, dai 3 ai 20 kg.
Alcune zone della Lombardia e del Piemonte, comunque, sono storicamente idonee alla caseificazione anche di formaggi a pasta molle, magari con crosta lavata, peculiarità che li preserva da contaminazioni e li fa maturare più velocemente, oppure erborinati. Vengono prodotti laddove la loro conservazione è resa possibile da ambienti naturalmente freschi e particolarmente umidi.
La tradizione casearia alpina non disdegna però neanche il latte di capra. Soprattutto in Piemonte e in Lombardia, dove abbondano queste lattifere. In Piemonte si trovano, oggi come in passato, formaggi a coagulazione lattica o presamica di piccola e piccolissima pezzatura, solitamente da consumare freschi, oppure a diversi livelli di stagionatura.
Vacche e capre
Anche le capre in montagna trovano un ambiente naturale particolarmente idoneo per le loro necessità vitali. Mentre la vacca si alimenta solo con le erbe fresche spontanee e di affienati, la capra “e di bocca buona”. Mangia erbe fresche o secche, arbusti, corteccia, rovi, tanto da venire considerata sia una pulitrice dei boschi, sia una distruttrice dei pascoli. Raramente la capra viene allevata in alta montagna. Fanno eccezione alcuni alpeggi dove convivono vacche e capre.
Numericamente, la loro presenza non è neanche paragonabile a quella delle vacche, ma rimangono sostanzialmente una “rappresentanza” mammifera di grande importanza casearia.
La Pianura Padana
Dopo aver parlato dei formaggi delle Alpi diventa riduttivo, in un certo senso, parlare dei formaggi di pianura. Non perché siano di minore importanza e qualità, tutt’altro, ma perché molti formaggi “nati” in montagna con il tempo si sono caratterizzati anche come formaggi di pianura. Quando l’uomo ha capito che i prodotti d’alpeggio potevano essere prodotti anche in valle e nel periodo invernale è stato facile organizzare il lavoro e costituire le Latterie Turnarie, piccoli caseifici o altre strutture più o meno grandi adibite allo scopo.
Il Taleggio, originario della Val Taleggio e della Valsassina o il Montasio, originario del monte omonimo, tanto per fare due esempi di realtà casearie, oggi si fanno anche in pianura, dove allevare vacche e capre è più facile, dove l’alimentazione foraggiera è di notevole quantità e qualità e dove la piccola stalla può essere sostituita dalla grande stalla. Tant’è che questioni economiche, prima ancora che praticità operative, spinsero di fatto molte produzioni verso la Pianura Padana.
Che fin da subito non è stata vista dal mondo del formaggio come un semplice bacino di raccolta delle produzioni alpine, no, è stata immediatamente interpretata per quello che è: il più grande spazio agricolo italiano dal quale l’uomo ha sempre ricavato i prodotti della terra, in particolare i foraggi per l’alimentazione animale.
Da un’estensione così grande e dall’enorme disponibilità di fieno, erba medica e altri vegetali, sono nati i grandi allevamenti. Capaci di produrre, ieri come oggi, importanti quantitativi di latte. L’attività casearia in pianura ha così trovato anche lo spazio necessario per svilupparsi. Basti pensare a quanto sono cresciute in dimensioni le forme dei formaggi che fanno parte della famiglia del Grana. Il Granone di Lodi, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, formaggi di lunga maturazione, anche tanti anni fa erano molto prodotti, tant’è che i casari facevano fatica a trovare loro una logistica dove stagionarli. In pianura le cose sono cambiate. Più spazio, più volumi, più dimensionalità. Tanto da arrivare ai formati giganti, forme di oltre 30-40 chilogrammi.
Per comprendere appieno il fenomeno del settore caseario del nord dell’Italia ci vengono in aiuto i numeri: nel 2012 sono state consegnate complessivamente 10.875.000 tonnellate di latte vaccino e il nord, da solo, ha contribuito con ben 9.100.00 tonnellate. La Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto hanno consegnato 7.750.000 tonnellate.
Italia Centrale
Geograficamente è ben identificabile per la presenza della dorsale nord degli Appennini. Nella nostra particolare suddivisione dell’Italia, invece, interessa le regioni a sud dell’Emilia Romagna: Toscana, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Puglia. Dalla Toscana in giù, l’Italia diventa davvero penisola. Il Mare Tirreno a ovest e l’Adriatico ad est evidenziano la parte centrale dello stivale, sostenuto dagli Appennini più o meno in asse nel senso longitudinale. Il territorio è prevalentemente collinare e montuoso. I rilievi più alti sono il Cimone, a cavallo tra Emilia Romagna e Toscana, le Alpi Apuane, in Toscana, il massiccio del Gran Sasso e la Maiella in Abruzzo. La restante parte appenninica è prevalentemente collinare.
Dal punto di vista climatico la parte mediana dell’Adriatico è caratterizzata da influssi mediterranei, quindi senza abbondanti precipitazioni, più intense nel periodo autunnale. Ciò nonostante, nei mesi più freddi può nevicare anche a quote basse e sulla costa. Sul versante opposto, quello ligure, toscano e laziale, il clima è influenzato dalla presenza del Tirreno, che determina differenze di piovosità tra le zone costiere e quelle interne. Raramente, però, si registrano nevicate sulle coste. Le stagioni più piovose sono l’autunno e la primavera. Il clima resta comunque di tipo mediterraneo. Passando alle aree appenniniche centrali, dalle Marche al Molise, si può parlare di zone a clima temperato fresco continentale, con temperature più alte in funzione della quota altimetrica. L’inverno è freddo e l’estate è calda nelle valli e più fresca sulle montagne. La piovosità qui è abbondante, soprattutto in autunno e in primavera. Le temperature minime possono raggiungere anche i -20°.
Il regno della pecora
Perché un territorio così immenso deve essere considerato determinante per la caseificazione italiana? Perché è il territorio della pecora.
Considerando l’influenza climatica delle coste e dell’interno, ovvero le colline e le montagne, viene da pensare alle condizioni di vita della popolazione animale. Infatti, sia le zone più settentrionali, sia quelle centrali hanno un comune denominatore: la transumanza.
Anticamente era una sorta di modus operandi. Il pastore si spostava continuamente perché doveva cercare del foraggio naturale per le proprie greggi. Difatti, la vegetazione appenninica, in particolare, è adatta all’alimentazione degli ovini quanto lo è il foraggio che si sfalcia nelle sottostanti pianure. In passato, quindi, c’era un via vai perenne di greggi che dalle montagne e dalle colline percorrevano i tratturi, i tracciati formatisi dal passaggio delle pecore. Nel periodo primavera-estate e parte dell’autunno le greggi pascolavano guidate dal pastore e dai cani sui prati incolti delle colline per poi discendere verso le pianure, spesso fino alle coste, dove svernavano, alimentate o da pascoli naturali o da foraggi sfalciati durante l’estate.
Sulle montagne Cimone e Gran Sasso ancora oggi la transumanza è uno spettacolo. Dal Cimone le greggi scendono alla pianura Padana e spesso alle coste dell’Adriatico, mentre dal Gran Sasso è consueta la discesa verso le Puglie. Se si considera la transumanza fra la Toscana e l’Abruzzo è doveroso ricordare che questa ha dato il nome a un’antica razza canina, il Pastore Maremmano Abruzzese, guardiano impeccabile delle greggi.
La visione casearia, invece, è riconducibile a un nome ben preciso: i Pecorini. Grandi o piccoli formaggi a base di latte ovino che vengono spesso prodotti al pascolo dal pastore stesso.
L’Italia è il Paese che, dopo la Cina, produce la maggior quantità di latte ovino. Ma ancora oggi la trasformazione casearia non è la sua massima espressione. Il divario fra latte messo in commercio e latte utilizzato per i formaggi resta enorme. Uno scenario reso povero dallo stesso territorio, che presenta fattori negativi evidenti: il divario netto fra le pianure e le montagne, le difficoltà delle greggi a provvedere all’alimentazione, la povertà in molti casi dell’alimentazione brada.
Resta una consolazione: parliamo di formaggi di pecora di grande pregio, quasi tutti caseificati a latte crudo, magari recuperando le sieroproteine e facendo Cacioricotta. Poca quantità, ma tanta qualità, non c’è che dire.
Italia del Sud
La nostra suddivisione dell’Italia in base a una “visione” casearia inquadra il sud come il territorio di Campania, Basilicata, Calabria e le due isole maggiori, Sardegna e Sicilia, la propriamente detta Area Mediterranea, se si escludono le montagne della Sila, che si riconoscono nelle aree temperate degli Appennini.
Regioni dove non si possono trascurare le grandi invasioni di greci, arabi, spagnoli, turchi e altre popolazioni che hanno condizionato culturalmente
e socialmente questa grande fetta dello stivale. Regioni dove regna il clima mediterraneo, anzi, marcatamente mediterraneo, viste le situazioni subtropicali di alcune zone delle due isole maggiori. Naturalmente il mare influisce notevolmente sulle temperature e sulla piovosità, che scarseggia generalmente, tranne in qualche zona interna. Nelle isole non si scende oltre i 10-12° nei periodi freddi, mentre d’estate si arriva anche a 40°.
Variazioni di temperatura che, nonostante la loro media sia nettamente più alta che negli altri territori italiani, determinano vegetazioni differenti fra le zone costiere e quelle interne. Le erbe scarseggiano e i territori sono più impervi rispetto a quelli del centro Italia. Continuano ad essere presenti le pecore, soprattutto nelle isole maggiori, ma l’allevamento bovino ha la sua rilevanza.
Mentre al nord si lavora per i formaggi di grossa pezzatura, solitamente a pasta semigrassa, al sud impera la cultura della pasta filata, ovvero di quella tecnologia produttiva che, per le sue caratteristiche anche di freschezza, viene apprezzata maggiormente in un clima a volte torrido.
Le paste filate e i Pecorini, formaggi tradizionali storici, sono fra i più antichi del territorio italiano. Basti pensare al Ragusano D.O.P. di immemorabile origine o al Fiore sardo, Pecorino che ancora oggi viene fatto dai pastori. Culture ben diverse fra loro che hanno dato origine a formaggi che, pur essendo noti per un’origine accumunata dallo stesso latte, al consumatore regalano aromi ben diversi.
Se nelle isole prevale la cultura casearia del latte ovino, in Campania, Basilicata e Calabria trionfa quella della pasta filata per due motivi. La bufala, presente in Campania per il 60% del totale nazionale, e per la tradizione tramandata della stagionatura naturale: basti pensare ai Caciocavalli e alle Provole.
In proposito circola una leggenda. Pare che anticamente i casari del Meridione avessero imparato a fare i formaggi nella Pianura Padana. Tornati a casa, elaborarono delle loro intuizioni e azzeccarono una produzione esclusiva. Col tempo, alcuni casari furono costretti a migrare nuovamente al nord, dove fecero conoscere le loro tradizionali lavorazioni a paste filate. Ecco perché oggi è una produzione che abbonda non solo in Meridione.
Le Mozzarelle e le Scamorze sono tanto amate dal consumatore, anche internazionale, per la loro caratteristica di appetibilità. Apprezzata sia in purezza, sia abbinata ad altri prodotti agroalimentari della cucina mediterranea.
A conferma della varietà produttiva che solo l’Italia sa rappresentare così bene, il sud è simboleggiato stupendamente anche da formaggi stagionati.
Le montagne della Sila hanno visto l’origine dei Caciocavalli che, lasciati alcuni mesi nelle grotte, assumono aromi unici, anche intensi, nonché piccanti sensazioni. Piccantezza che è una piacevole consuetudine nella cucina del sud, dal peperoncino al formaggio, non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Infine, un pezzo pregiato che nobilita la memoria siciliana: la Vastedda del Belice, prodotto unico nel suo genere, un D.O.P. con latte di pecora, ma a pasta filata. Due storie in un unico formaggio. Anzi, in un capolavoro.
Bada says
Salve a tutti! Potrei avere delle informazioni più precise riguardo i parametri relativi al pH raggiunto con la coagulazione, la temperatura di cottura, l”eventuale sosta sotto-siero e magari l’eventuale umidità relativa durante la stagionatura? Sono uno studente universitario.
Grazie in anticipo
elia says
si scalda ,un po poi agggiungi il siero positivo poi un pos di sas per aumentare il ph neutro positivo negativo tutto elevato alla terza