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Un’azione congiunta istituzioni-privati fa nascere un formaggio stagionato in Paranà, il “Santo Giorno”. Grazie alla nostra filiera casearia

di Giovanni Bertizzolo

L’export che non ti aspetti parte dal Veneto e arriva in Brasile. Portando oltre confine il nostro know out caseario e l’intera filiera: dall’alimentazione alla termomeccanica, fino ai macchinari per la produzione. E’ un colpo di genio, un triplo salto culturale che ha tanti protagonisti. Ne spiccano due: l’Istituto per la qualità e le tecnologie agroalimentari di Veneto Agricoltura (azienda della Regione, prima finanziatrice dell’iniziativa, ma dentro ci sono anche università, enti, imprenditori: tutto quello che fa sviluppo) e lo Stato brasiliano del Paranà. A fare da “collante”, l’Associazione Bellunesi nel Mondo, fulgido esempio di emigrati che non hanno mai staccato il cordone ombelicale con la terra d’origine.

Tutti proiettati su un progetto, denominato “Rete”, nato nel 2007 e finalizzato allo sviluppato di colture starter autoctone selezionate da latte raccolto presso alcuni caseifici del Paranà per arrivare a ottenere delle colture da utilizzare nella produzione di un formaggio a marchio tipico del territorio di alcuni comuni di quello Stato. Territori dove, nonostante l’elevata produzione di latte, non vi era ancora una tradizione e un’abitudine al consumo di formaggi stagionati.
Non è una novità. In molti Paesi del mondo la produzione casearia si limita solo alla produzione di latticini freschi che vanno consumati entro pochi giorni.

Attraverso un lavoro congiunto dei laboratori dell’università di Pato Branco e quelli del Centro produzione fermenti di Veneto Agricoltura-Bioagro, sono state selezionate e prodotte due colture starter che, testate con prove di caseificazione, si sono integrate con la flora batterica originale presente nel latte. Successivamente sono state pilotate le fasi di caseificazione e maturazione del formaggio oggi prodotto col marchio “Santo Giorno”.
Abbiamo racchiuso l’operazione in poche righe. In realtà si stratta di imprese non improvvisabili, ma frutto di esperienze, professionalità, lavorazioni manuali coadiuvate dalla tecnologia. Che sommate assieme consentono di ottenere ottimi formaggi sotto il profilo qualitativo, nutrizionale e salutistico. Elementi che distinguono l’Italia casearia. Che anche in questo caso ha fatto scuola.

Il risultato. A distanza di un anno quattro grandi produttori lattieri del Paranà, che hanno aderito a questo progetto, sono passati dal lavorare 30 mila litri di latte al giorno agli attuali 500 mila. Inoltre, hanno acquistato macchinari italiani per la lavorazione del latte per un valore pari a 6 milioni di euro.
Per non parlare dei rafforzati legami economico-commerciali con il Brasile.
Insomma, un’azione di cooperazione perfettamente riuscita.
Il queijo è stato chiamato “Santo Giorno”. Perché? Lo spiega Emilio Dalle Mule, dell’Associazione Bellunesi nel Mondo: “Per esorcizzare la fame patita dagli antenati e per ricordare, superati i tempi grami, il detto: “Adesso si mangia ogni santo giorno!”.
L’emigrazione che trascina l’export, dunque. Che Italia, questa Italia….

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