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“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua natia rimanga ne’ cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano e vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume, silente, sulle vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh’esso il litorale cammina la greggia. Senza mutamento è l’aria, il sole imbionda si la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquìo, calpestìo, dolci rumori. Ah perché non son io co’ i miei pastori?!”
Così scrive Gabriele D’Annunzio nella poesia intitolata “Pastori d’Abruzzo” che fa parte della raccolta Alcyone.
Al di là dell’aspetto poetico del rapporto uomo-natura, la transumanza e l’alpeggio sono state (e lo sono tutt’ora) due forme di allevamento molto importanti per il territorio italiano e per il suo patrimonio caseario, storico e culturale.

Leggendo attentamente la poesia appena citata, ma anche altri componimenti di poeti italiani, o ammirando numerose opere che documentano queste pratiche, è facile intuire come esse siano in realtà delle vere e proprie forme di vita, oltre che di sussistenza. La loro pratica attiva coinvolge vari aspetti dell’esistenza umana: la produzione di manufatti ed arnesi per la lavorazione del latte e dei suoi derivati, la costruzione di apposite forme di abitazione (descritte in molte opere); ma anche l’arte povera fatta di opere in legno, e i canti popolari nati per passare il tempo, dimostrano come questo aspetto sia vero e verificabile. Scrittori dalla fama locale, legata insomma al territorio di appartenenza, hanno documentato sapientemente queste pratiche rurali.
Ma la loro importanza dal punto di vista economico è consolidata nella storia: nel diritto medievale, per esempio, vi era un contratto di alpeggio stipulato tra i proprietari del bestiame e i mandriani, in cui questi ultimi portando gli animali ai pascoli alpini, pagavano una determinata quota al proprietario tenendo per se tutto il ricavato.
Lo strettissimo legame uomo-ambiente è poi confermato nella poesia dalla citazione dell’ “antico tratturo”, sentiero apposito creato dai pastori per consentire queste pratiche, ma anche le tipiche stalle o rifugi per il bestiame e gli uomini e, non da ultimo, i formaggi.

Sono questi che profumano di erbe e fiori, come affermò Leopardi in una corrispondenza privata, ma anche di duro lavoro, fatica e grande amore e rispetto per la natura. Nella pittura, soprattutto quella di fine Ottocento/inizio Novecento traspare tutto ciò, ed è anzi una testimonianza viva per le generazioni future e uno stimolo per quei pochi che ancora oggi mantengono vive queste pratiche, offrendoci così non solo un pezzo di storia, ma anche e soprattutto prodotti unici, che sanno di natura e amore per il territorio.

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