Sei in > formaggio.it > Aldo Lissignoli > Ricotta, tra simboli e rappresentazione del vero

La Ricotta è uno dei prodotti che derivano dalla lavorazione del latte e che viene erroneamente assimilata alla grande categoria dei formaggi. Nel corso della storia essa ne ha subito la stessa sorte. Nonostante fosse apprezzata maggiormente, era comunque ricondotta all’ambiente pastorale, quindi profondamente intrisa di connotazioni negative. Bisogna ricordare, come ho già avuto modo di spiegare nei precedenti articoli, che la medicina galenica presente durante il Medioevo e in forma minore nei secoli successivi, nutriva pareri negativi nei confronti dei formaggi e nei prodotti che venivano assimilati ad essi.

Nel caso della Ricotta, però, non si limitavano solo alle questioni legate alla salute, ma erano anche e soprattutto associati ai gusti. Il suo sapore delicato infatti era mal tollerato da una società abituata ai cibi forti, carichi di sapore, in cui il gusto delle spezie e degli accostamenti alimentari andavano a mutare il sapore originale dei cibi. Questo sistema fu in voga fino al Seicento inoltrato, condizionando anche in taluni casi la cucina settecentesca.

L’opera raffigurata sopra ci fornisce un valido esempio di quanto è stato appena detto. Di Anonimo fiorentino, la “Pala” di Baldassarre Suarez, del 1650, è conservata a Firenze presso l’Accademia della Crusca. Il motto “per me non basto” allude infatti a quanto detto sopra; la Ricotta umile e poco saporita, necessitava di essere accompagnata da altri ingredienti per poter essere nobilitata.

Del resto non dovrebbe stupire molto tutto ciò se pensiamo che nel mondo antico l’idea che si aveva di questo prodotto non era poi tanto diversa; quando Ulisse incontra Polifemo, infatti, il gigante è intento ad occuparsi delle capre e in seguito a produrre Ricotta; è chiaro quindi che appartenga ad una concezione dell’uomo legato profondamente alla natura, non proprio positiva, potremmo quasi osare dire “non civilizzata”. L’arte non documenta solo i gusti, ma anche la destinazione sociale dei cibi; spesso il modo in cui essi venivano consumati, i soggetti che si cibano di essi e gli utensili impiegati erano fortemente esplicativi, ancor più dei dettami dietetici; la ricotta ne è un esempio.

Nel quadro raffigurato qui sotto di Vincenzo Campi, “I mangiaricotta”, 1585 circa, collezione privata, troviamo un esempio di quanto ho appena affermato. Tanti sono i simbolismi di natura sociale presenti nell’opera: la ricotta, prodotto non conservabile e poco saporito, sebbene di antica origine, è il più umile prodotto della lavorazione del latte; il tono quasi caricaturale dei volti sottolinea l’ambiente popolare in cui la scena si sta svolgendo. Infine il modo poco aggraziato di consumare il prodotto, servendosi di mestoli da cucina in legno, è un elemento che permette di riconoscere l’assenza di controllo nel rapporto col cibo, tipica delle persone che non conoscevano le norme del Galateo, e quindi il livello sociale di appartenenza dei soggetti rappresentati nell’opera.

Solo col Settecento e la diffusione della moda delle pastorellerie e della passione per il mondo arcadico, quale unico sistema in cui il rapporto uomo-natura era autentico, mutò la considerazione nei confronti di questo prodotto. Divenne così un prodotto apprezzato anche dai ceti elevati, che lo inserivano (con opportuni abbinamenti, si intende) in preparazioni dolci e salate, facendo da trampolino sociale e culturale importante per il suo consolidamento e diffusione, soprattutto nell’area centro-meridionale del nostro Paese.

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