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Ho parlato ancora di muffa, in particolare citando il Gorgonzola Dop, grande formaggio italiano. Ora invece mi soffermerò su come avviene la formazione di muffa nei formaggi erborinati e il perché, magari citando un po’ di storia.  Innanzi tutto è curioso sapere che le muffe sono parte della microflora del nostro mondo, appartengono alla famiglia degli eucarioti e ne siamo completamente circondati.
Quindi è un microrganismo che fa parte della nostra vita.

Agli albori della microbiologia, un signore di nome Alexander Fleming isolò per la prima volta la penicillina, dal fungo Penicillium notatum, che come ben sappiamo ha rivoluzionato la nostra vita. Tra l’altro, questo noto scienziato scoprì pure il lisozima, enzima molto utilizzato come antibatterico e conservante in alcuni formaggi. Insomma, le muffe ci appartengono come ci appartiene tutta la serie (infinita) di batteri che ci circondano.

Ho divagato per cercare, insieme a voi, di comprendere meglio perché in caseificio si possono utilizzare muffe come il Penicillium Roquefort o il Penicillium candidum che ci consentono di ottenere formaggio buoni del tutto particolari. Ma questa divagazione è voluta anche perché spesso mi capita di incontrare persone che non ne vogliono sapere di formaggi con la muffa e che altrettanto spesso riesco a convincere, almeno ad assaggiarne un pezzetto. La muffa nei formaggi non è solitamente di crescita naturale, dev’essere inoculata nel latte appena immesso nella caldaia. È ovvio che le muffe utilizzate non sono, come un tempo si usava, prodotte naturalmente magari utilizzando quelle che crescevano sul pane raffermo, ma sono colture estremamente selezionate e quindi di provata sicurezza alimentare.

La crescita delle muffe tra l’altro avviene molto spesso quando l’acidità della pasta caseosa è a pH inferiori a 4,9-5 ovvero a forte acidità. E’ anche vero che la formazione della muffa nella pasta del formaggio consente al pH di cui ho prima parlato di crescere, ovvero di risalire verso la neutralità. Questo fattore comporta una spiccata proteolisi (maturazione delle proteine) che accelera molto la fase di maturazione.  Riconoscere una buona muffa non è difficile, basta che appaia di colore verde o bluastro vivace, brillante, al contrario di una muffa che ormai è invecchiata che tenda al colore nocciola o addirittura marrone.

Se, come si dice, chi lavora in un caseificio che produce erborinati ha vita più lunga perché assume involontariamente molte spore di Penicillium, potrà essere anche vero che chi consuma (mangia) questi formaggi possa gloriarsi di un futuro lungo e sano?

2 risposte a “Le muffe “buone””

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