Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > La “cultura” dello spreco, in antitesi a quella della giusta conservazione

Il formaggio è da sempre una risorsa alimentare ed economica in tutto il territorio italiano, tanto che oggi è sempre più richiesto dal consumatore e sempre più prodotto dalle aziende. Un tempo la situazione era diversa, non esistevano le industrie e, fino a un paio di secoli fa, non esistevano neppure i caseifici. Il formaggio veniva fatto nelle famiglie che possedevano pochi animali. Rappresentava il sostentamento della famiglia, ma anche un oggetto di scambio commerciale.

Se dovessimo percorrere un tracciato storico-alimentare, ci accorgeremmo che nei secoli passati non vigeva l’abitudine di fare formaggi a pasta molle, come quelli di oggi (lo Stracchino, lo Scquacquerone, ecc). Ovvero, in rari casi e in piccoli territori poteva sussistere un formaggio tipo Raviggiolo che però era ad esclusivo utilizzo della casa. D’altra parte se anche avessero avuto la cultura del formaggio fresco non avrebbero potuto produrlo per mancanza di refrigerazione, oggi tanto utilizzata e indispensabile.

Allora venivano fatti formaggi che potevano stagionare, conservarsi anche per lungo tempo. Da qui è facile intuire che i più adatti allo scopo erano sicuramente i formaggi a latte parzialmente scremato, dalla cui crema ricavare il burro, ma anche altre forme di conservazione, come il Marzolino sott’olio, molti formaggi lasciati nella cenere, altri semplicemente stagionati in ambienti naturali e altri recuperati.

Recuperati? Si, un tempo non si buttava nulla, neppure le rimanenze dei formaggi avanzati sulla tavola e magari anche un po’ ammuffiti.  È il caso del Graukase, il formaggio grigio, che viene da sempre prodotto in Pusteria e nelle valli attigue. Un formaggio che veniva prodotto con motivazioni del tutto particolari. La prima era la necessità di recuperare fino all’ultima briciola di formaggio residuo, una sorta di risparmio indispensabile. Poi, a causa dell’estrema povertà, per la mancanza di caglio che, tutto sommato, doveva per forza essere acquistato. Infine per recuperare anche quel latte che era inacidito e avrebbe dovuto essere dato in pasto agli animali. 

Un insieme di problematiche che le donne locali risolvevano facendo questo formaggio, detto anche Grigio, proprio per le sfumature della sua pasta. Un prodotto del tutto particolare che anche oggi nasce con tecniche naturalmente “moderne” e l’utilizzo di fermenti lattici, per consentire anche una situazione igienica ottimale.

Il Graukase si presenta comunque come una volta, senza la crosta e con una pasta dalla consistenza grumosa, granulosa che non sempre riesce a essere unita, anzi tende a cadere a sbriciolare.

La caratteristica però più importante è quella aromatica, essendo un formaggio dalle intensità elevatissime, tanto che se dovessi redigere un grafico sensoriale, forse dovrei aggiungere un punto in più alla graduazione massima presente. Un riferimento importante per capire quanto sia elevata la forza aromatica e anche quella gustativa è il suo utilizzo. Infatti, in Pusteria il Graukase viene consumato aggiungendogli pepe, olio extra vergine di oliva e cipolla cruda. In questo modo vengono smorzate le intensità aromatiche e si nasconde alquanto il sapore amaro piuttosto evidente.

Cosa non si faceva un tempo per conservare gli alimenti e cosa si fa oggi? Oggi si producono alimenti che non possono di certo essere conservati a lungo, ma è così che vuole il mercato: una volta deteriorato, un formaggio fresco viene semplicemente sostituito acquistandone un’altra porzione.

Una vera e propria “cultura” dello spreco.

 

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