Sei in > formaggio.it > Aldo Lissignoli > Incontro dei formaggi italiani con la cultura ebraica: storia, usi, necessità

La Giornata della memoria mi spinge a riflettere non solo sulle atrocità compiute ma, in ambito gastronomico, al grande apporto culturale che le comunità ebraiche hanno dato nei secoli al nostro Paese. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre(Deuteronomio 14, 21). Questa prescrizione alimentare presente nella Bibbia ebbe importanti ripercussioni sul consumo dei formaggi da parte delle comunità ebraiche e, inevitabilmente, sulle produzioni locali italiane.

Due erano i divieti che venivano applicati: che i formaggi fossero quagliati con caglio, vegetale per evitare commistioni carne-latte, e la presenza di “ispettori” già durante le fasi di mungitura, per accertare che tutto avvenisse secondo le norme. Tutto questo si tradusse  nell’ottemperanza a numerose norme che disciplinavano non solo ogni aspetto della produzione, ma anche l’ottenimento delle materie prime e dei materiali utilizzati per le fasi di lavorazione.
Ciò significa che il formaggio non doveva essere prodotto in recipienti che avevano contenuto alimenti proibiti.

Il rispetto di tutte le regole determinava la produzione di formaggio “kasher”, ovvero permesso. Queste necessità legate alla religione fecero si che nel corso del tempo nacquero non solo polemiche, ma anche scambi e interazioni culturali tra le comunità ebraiche e i produttori di formaggi. Tutti i passaggi indispensabili per garantire un formaggio “kasher” si tramutavano spesso in un iter molto complicato per l’ebreo osservante. Nella realtà molti ebrei consumavano formaggi comuni non approvati, questo accadeva in particolare nella comunità romana: i documenti a tal proposito attestano che vi era un largo consumo di Mozzarelle e Ovaline di bufala. Ma il caso romano non era certo l’unico, l’uso diffuso da parte degli ebrei toscani di consumare formaggi prodotti da cristiani  che non rispettavano le norme bibliche indusse nel 1675 le autorità rabbiniche di Firenze a metterli al bando attraverso interdetti. Analogamente era stato fatto tempo prima a Ferrara; in tutti i casi, i sopra citati  provvedimenti servirono però a poco. Anche molte comunità della piana del Po (Mantova, Montagnana, Modena e Parma) consumavano caci prodotti dai cristiani, tra cui Parmigiano e Grana.

Tutto ciò non vuol dire però che gli ebrei italiani tenessero in scarsa considerazione i divieti,  negozi kasher che vendevano formaggi erano aperti in tutti i ghetti d’Italia. I formaggi italiani, chiaramente seguiti in tutte le fasi come è stato scritto sopra, entrarono sempre più nei consumi delle comunità ebraiche. Alla fine del Settecento a Reggio Emilia la bottega di Angelo Jesi vendeva il “formajon kasher” ed in particolare il “cascio Parmeggiano”.

La sorveglianza dei processi produttivi era un punto dolente, soprattutto quando era fatta da cristiani; nel 1602, a Padova, il consiglio della comunità ebraica deliberò sulla necessità che fossero ebrei a sorvegliare sulle varie fasi di produzione dei caci da parte dei cristiani. Non solo, la preoccupazione era sollevata anche dal fatto che, quando i sorveglianti erano ebrei, essi erano principalmente donne o giovani, quindi non totalmente affidabili. Col tempo, però, molte botteghe si specializzarono nell’offerta di prodotti kasher affiancati ai prodotti per cristiani o esclusivamente prodotti kasher. Dalla fine dell’Ottocento, con lo sviluppo dell’industria alimentare, conseguente alla grande rivoluzione industriale, la produzione di prodotti kasher si spostò su larga scala. Attualmente i costanti controlli e i marchi apposti sulle forme o etichette, aiutano a identificare i prodotti permessi.

Sicuramente i rapporti culturali che per secoli caratterizzarono la cultura italiana e quella ebraica ebbero importanti conseguenze su entrambe le parti: la diffusione delle tipologie di formaggio italiano nelle comunità ebraiche (come è stato visto) e la presenza di molte specialità gastronomiche di quest’ultime nella cucina italiana, sono la prova di questo sincretismo culturale durato secoli.

 

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