Sei in > formaggio.it > Aldo Lissignoli > Il formaggio durate le Feste: storia, usi e necessità

Le feste che si stanno avvicinando mi hanno spinto a riflettere attorno alla presenza del formaggio sulle tavole durante queste occasioni. La posizione alla fine del pasto che gli riserviamo generalmente ancora oggi è una vivida ottemperanza alle disposizioni dietetiche della medicina galenica che, in base alla teoria degli umori, lo confinava dopo tutte le altre vivande. Tuttavia se ci fermassimo a ciò, avremmo una visione parziale del suo ruolo sulle nostre tavole.

Nei precedenti articoli più volte ho affermato come esso sia stato un alimento tipico del popolo e quindi con una forte connotazione povera, bassa, insomma umile. In realtà il discorso è ben più complesso e qui analizzo due circostanze che mi aiutano a spiegare meglio il tema che ho scelto: la prima è che il formaggio, in realtà, era consumato anche dai ceti elevati e la seconda è che esso, facendo parte degli ingredienti di molte preparazioni tipiche, ha un forte legame con varie festività. È chiaro come queste due tematiche siano in relazione, ma andiamo con ordine.

Per la prima l’enigma è facilmente risolvibile se lo associamo al famoso proverbio “al contadino non far sapere quant’è buono il cacio con le pere”. Esso denota come molti alimenti nella dieta del passato, in particolar modo Medievale, erano consumati sia da nobili, sia dal popolo; era l’abbinamento di essi con altri ingredienti a determinarne la destinazione sociale di appartenenza. Nel nostro caso, il proverbio denotava anche il rispetto delle regole mediche già citate, secondo cui un alimento secco andava abbinato a uno umido. L’associazione con altre materie prime come frutta fresca o spezie, poi, era il segno principale della destinazione sociale della pietanza. In molti scritti medievali e rinascimentali vengono menzionati i formaggi come degna conclusione di un banchetto o di un pasto.

La seconda tematica menzionata è più articolata e si collega alla prima: il formaggio fa parte delle festività perché entra in concreto nel processo di genesi di molte preparazioni gastronomiche. Se facessimo, a tal proposito, un viaggio storico e gastronomico lungo tutto il nostro Paese, scopriremmo una quantità enorme di preparazioni legate alle festività in cui il formaggio è tra i protagonisti. In fondo se nel paese di Cuccagna o anche in quello di Bengodi immaginato da Boccaccio nel suo Decameron sono presenti montagne di formaggio sulla cui cima sono posti uomini che sono intenti a fare ravioli, non è solo per la fame atavica, compagna sicura di generazioni di uomini e donne poveri, ma anche per la presenza ben radicata di tale prodotto nelle preparazioni gastronomiche, quotidiane e di festa per i ricchi e solo di festa per i poveri.

L’ aspetto appena citato è confermato anche dai testi di medicina medievale: sebbene fossero riluttanti dal suo utilizzo solo, come alimento, di certo non lo erano come costituente di preparazioni gastronomiche. Questo suo essere presente nei giorni importanti si traduce in primi piatti, torte salate, pasticci ma anche dolci che, oltre a essere gustosi, hanno simbologie ben precise legate alla tradizione. Se per esempio il formaggio è simbolo della purezza nelle feste che ci apprestiamo a celebrare, nelle preparazioni confezionate in molte regioni per la Pasqua, esso rimanda alla fecondità e alla rinascita.

Sebbene la maggiore attenzione alla salute del nostro corpo ci imponga un moderato consumo, pochi durante le feste non ne gustano la bontà. Non solo piaceri dei sensi, ma storia e tradizioni la cui scoperta aiuta a rivalutare e nobilitare questo importante prodotto.

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