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Siamo in gennaio, il mese più freddo e nebbioso dell’anno, mese in cui, almeno quest’anno, dalle mie parti si fanno i salami. Ci vogliono temperature basse perché il maiale deve rimanere appeso almeno per una notte, naturalmente al freddo, per poi, il mattino dopo, lavorare la carne a volte semi congelata e fare il salume tipico delle terre sabbiose, quelle vicinissime al mare, Adriatico ovviamente.
Scusate l’introduzione, inevitabile per quanto sto per scrivere sul formaggio. Quando non esistevano le celle, capaci di refrigerare a qualsiasi temperatura dagli 0° in su, i caseifici, specialmente quelli medi o piccoli, si organizzavano affinché fosse la stagione a determinare la tipologia di formaggio da fare. 

Al Nord, per esempio, l’inverno è la stagione tipica per fare erborinati, il freddo e la forte umidità sono specifici della maturazione di questi formaggi. Ma anche alcuni formaggi come il Valle d’Aosta Fromadzo Dop, interessantissimo formaggio a pasta semigrassa, che veniva e viene ancora prodotto dopo aver scremato la munta serale. Dal grasso recuperato era d’uso fare il burro che veniva consumato specialmente nel periodo autunno-inverno. L’inverno è poi il preludio del periodo iniziale della primavera, quella marzolina. Termine che ci porta al Marzolino, formaggio soprattutto a latte di pecora, ma anche, in certe zone, a latte caprino, storicamente fatto nel mese di marzo, quando il latte di queste lattifere è al meglio di se stesso.

Ma anche al Nord il mese di marzo ha una forte ascendenza sui casari, in particolare quelli di una certa età. Si dice, infatti, che è in questo mese che si producono i formaggi che devono stagionare a lungo, anche anni, o almeno questo è il mese che dà i migliori risultati.
Tornando indietro, l’autunno e l’inverno, per i formaggi a pasta molle come lo Stracchino, sono i migliori, anche per le condizioni del latte, non proprio al meglio di sé.
D’altra parte anche la stagione, intesa come evento atmosferico, ha la sua importanza. I casari più anziani sono fortemente condizionati dalle precipitazioni atmosferiche e in particolare dai temporali. “Mai fare il formaggio durante un temporale – osservano – il latte si carica elettricamente e inacidisce velocemente”. 

Non so se è vero, io ho lavorato spesso tra lampi e fulmini e non mi sono accorto, nonostante prove continue del pH nel latte, che questo possa davvero essere un fattore di preoccupazione.
Almeno fino all’estate scorsa.
Stavo facendo un Malga bellunese quando scoppio un temporale. Forte della diceria antica di cui ho parlato precedentemente, mi attrezzai di pHmetro e misurai ripetutamente l’acidità: 6,60 netti, sempre uguale nelle svariate prove. Tranquillizzato, aggiunsi il caglio al latte e mi prestai ad attendere circa 25 minuti, quelli che occorrono per ottenere una buona cagliata, idonea al formaggio che andavo a fare.

Ero pensieroso, qualcosa mi diceva che non mi dovevo distrarre. Con stupore, dopo soli 11 minuti la cagliata era pronta, un evento che al casaro lascia dubbi, perplessità e curiosità.

 

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