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Quest’anno, in occasione di Expo 2015, si terranno le Olimpiadi del formaggio, una manifestazione a carattere mondiale che proclamerà i migliori formaggi esistenti, tradizionali o di fantasia. Il 2015 sarà quindi l’anno del formaggio? Chissà, forse.

Perché, per quanto il formaggio sia un prodotto di grande utilizzo, amato dalla maggioranza dei consumatori, non si può dire che sia un alimento molto conosciuto. Al contrario, il consumatore non ha ben compreso cosa ci sta a monte della fetta di formaggio che acquista. Benvengano, allora, le manifestazioni di alto profilo, purché non rimangano chiuse in se stesse, ovvero nascano per diventare un circolo privato che esclude la maggioranza delle persone o diventino un piedistallo per coloro che del formaggio sono già esperti.

Divulgare la conoscenza del formaggio significa coinvolgere tutto il popolo italiano, in questo caso addirittura mondiale, non solo con una gara limitata a decretare un vincitore, ma con l’organizzazione di eventi strettamente legati alla manifestazione principale, capaci di assumere una popolarità di larga scala, un coinvolgimento di massa, anche con la formazione della gente del formaggio, come l’allevatore, il casaro, il commerciante, l’ambulante, il ristoratore, lo chef e tutti quei soggetti che utilizzano il formaggio o per professione o semplicemente per passione. Primo fra tutti il consumatore.

Promuovere un prodotto significa innanzi tutto farlo conoscere. Bello, piacente o non, il formaggio dev’essere l’oggetto di una cultura generale che possa far comprendere, soprattutto al neofita, quanto lavoro, difficoltà, studio c’è a monte di un prodotto la cui origine è animale, e quindi naturale.  Le Olimpiadi del formaggio 2015 credo possano essere “il momento”. L’organizzazione di questa grande manifestazione deve pensare in primis a questo, alla divulgazione della cultura del formaggio, poi alla competizione. La quale darà a molti tanta soddisfazione e a molti di più delusione.

Mi aspetterei, da quest’evento, che tutti i casari partecipanti venissero coinvolti con un’unica finalità, quella di dimostrare ai popoli del mondo che per fare formaggio si parte dal latte di lattifere che vengono allevate con i guanti bianchi, mai maltrattate come molti pensano. Che il lavoro del casaro è un’arte che pochi possono atteggiarsi a fare con scrupolo, con coscienza e con il desiderio di produrre formaggi di qualità.

Vorrei che il formaggio fosse conosciuto per quello che è, ovvero un alimento sano, buono che deve essere impiegato normalmente nelle diete, che può essere utilizzato in cucina con maggiore consapevolezza di quanto non lo si faccio ora, che serva anche a ricordare che il formaggio è cultura, è la storia dell’Italia, perché, come mi capita di ripetere spesso, il formaggio è la nostra storia, è la storia del territorio, del popolo e di ognuno di noi.

Un buon anno del formaggio sarà quello che vedrà la riscoperta, da parte di chi l’ha sottovalutato, degli aspetti più importanti, delle sue caratteristiche organolettiche, delle sue proprietà alimentari, della sua alta qualità, in particolare quando le lattifere vivono al pascolo. E, soprattutto, quello che vedrà la riscoperta di un prodotto che il tempo ha dimostrato essere l’alimento base per tutti.

 

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