Sei in > formaggio.it > Aldo Lissignoli > Breve viaggio nella conservazione del formaggio

La conservazione del formaggio è una fase importante del suo ciclo di produzione, nonostante spesso le attenzioni vengano riservate solitamente alle precedenti. Ha un ruolo centrale nel determinare le caratteristiche organolettiche del prodotto finale: luogo, clima, temperatura ed altri fattori sono determinanti in questo ampio discorso. Attualmente la tecnologia ha preso il sopravvento (soprattutto se si parla della produzione a livello industriale), tuttavia il discorso è più complesso se parliamo della conservazione del formaggio nella storia.

In questo caso altri fattori giocano un ruolo importante: per primo la necessità di avere questa fonte proteica disponibile anche nei mesi in cui i formaggi freschi venivano prodotti molto meno; in secondo luogo l’esigenza di avere a disposizione una fonte di sostentamento sicura che potesse sostituire i prodotti carnei assenti sulla mensa dei poveri e, da ultimo, la garanzia di una fonte di cibo sicura in caso di carestia o assedio.
Questi i principali fattori che, uniti ad un ambiente ostile, hanno fatto sì che l’uomo si adoperasse per trovare differenti modalità di conservazione. Su ciò leggende e tradizioni si mescolano con la storia e con quelle che, in realtà, erano esigenze pratiche di tutti i giorni. A fianco di tecniche che venivano utilizzate anche per altri alimenti (ricordo l’uso delle ghiacciaie, presente in Italia fino agli inizi del secolo scorso), ve ne sono alcune che hanno nel formaggio il vero protagonista.

Tra tutte, quella che mi viene subito alla mente è l’usanza di “seppellirlo”, tecnica che trova nel formaggio di fossa di Sogliano il rappresentante più conosciuto.
Nonostante le origini incerte, la sua presenza si annota già nei documenti degli archivi Malatestiani, dove si parla delle fosse e delle modalità di infossatura (XIV secolo). Sebbene si pensi che i precursori di questa pratica fossero stati gli antichi Romani, gli alimenti erano disposti nelle fosse per i motivi che ho citato sopra: conservarli al sicuro in caso di assedio, epidemia, carestia e per sottrarli alle durissime clausole dei contratti di pagamento che i contadini dovevano stipulare con i signori. Il formaggio, secondo la tradizione, veniva chiuso nelle fosse alla fine di agosto e aperte il 25 novembre, giorno di Santa Caterina.

Altra modalità di conservazione tipica del nostro territorio è quella sotto il fieno che, a seconda delle regioni, è più o meno recente. In Piemonte, nonostante non vi siano documenti che consentano una datazione certa su questo tipo di conservazione, è una pratica piuttosto diffusa e sembra sia stata portata da produttori originari delle valli valdesi. A volte poi gli scarti di lavorazioni di altri prodotti o di processi produttivi possono essere dei validi mezzi per la conservazione del formaggio; sotto questo aspetto cito due casi: il formaggio nella cenere e quello conservato per un periodo più o meno breve nel mosto. Ambedue sembra siano dovute al caso, ma la verità vuole che siano la necessità e l’ingegno umano i due propulsori fondamentali per la nascita di queste due tecniche. La prima ha unicamente lo scopo di conferire particolari caratteristiche organolettiche al prodotto; diverso è il discorso per la seconda: oltre all’aspetto gustativo infatti era diffusa la convinzione che questa pratica fosse fondamentale per impermeabilizzare la crosta.

Questo breve  viaggio è stato solo un assaggio culturale di alcune delle tecniche di conservazione principali del formaggio. Ho voluto trattare questo argomento perché credo che, in un mondo dove la massificazione dei consumi e della produzione sono  imperanti, conoscere e riscoprire queste straordinarie tecniche sia il primo passo per salvarle dall’oblio culturale e gastronomico.

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