Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > Lo mangiamo un buon formaggio, o no?

I caseifici italiani stanno progredendo per accontentare sempre più il consumatore, cercando di modificare, almeno in parte, le loro abitudini. Normalmente il caseificio, parlo di quello di piccole o medie dimensioni che lavora al massimo 50-60 quintali di latte al giorno, è organizzato per produrre formaggi di ogni tipologia, dalla pasta molle alla pasta dura, mentre i caseifici piccoli, quelli aziendali, producono per lo più formaggi tipici, tradizionali.

Non è una regola, ma è ben chiaro che il pastore non fa di certo lo Stracchino, fa il Pecorino, e basta. Oggi l’abitudine alimentare del consumatore è molto cambiata rispetto anche a solo 15 anni fa, è cambiato il gusto, è cambiata l’abitudine di assaggiare sapori veri, genuini. Basta pensare a un alimento che tutti conosciamo, lo yogurt, sempre più consumato se aromatizzato, con ingredienti aggiunti, coadiuvanti, che lo rendono meno acido e più dolce.

Anche per il formaggio vale lo stesso discorso. Formaggi a pasta molle dunque, poco saporiti e poco stagionati stanno sbancando. Caciotte vaccine a latte pastorizzato, spesso piuttosto anonime, insulse, come paste molli ad alto contenuto d’acqua, Stracchini spalmabili, Crescenze di bassa qualità.

Ma come fare per introdurre la qualità in bocca al consumatore? Forse è una domanda la cui risposta risulta pressoché impossibile. Se la qualità potesse giungere al consumatore anche solo dalle piccole aziende locali, con la produzione di formaggi interessanti che hanno una vera storia, se si potesse avere sempre latte sano, buono a tal punto da poterlo lavorare crudo, allora anche solo nel piccolo territorio qualcosa cambierebbe, o meglio la tradizione casearia tenderebbe a mantenere prodotti tipici di qualità.

Il gusto alle buone cose è importante, come è importante saper individuare un prodotto buono da uno mediocre, ma per questo è essenziale la formazione, la conoscenza del formaggio.
In Italia non c’è cultura del formaggio, lo si acquista e lo si mangia così, spesso come fosse un alimento qualsiasi, ma non è così. Anche i casari devono, facendo uno sforzo, conservare la produzione d’eccellenza,che significa individuare, prima nel latte e poi nella tecnologia, quelle qualità indispensabili per proporre un formaggio sempre migliore.

E il consumatore? Il consumatore deve informarsi e capire, cercare e assaggiare, domandare al casaro i perché che non conosce. Attenzione, però, se lo cerchiamo, il formaggio buono, lo troviamo, per cui non accontentiamoci dei “formaggini”, perché in Italia di formaggi eccellenti ne esistono a bizzeffe.

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