Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > L’erba non può essere l’unico alimento delle lattifere, purtroppo, salvo abbattere tutte le foreste d’Italia

Alimentare in Italia con il frutto del pascolo è praticamente impossibile. L’allevatore deve cercare comunque di servirsi del frutto dello sfalcio di prati stabili e quindi di buon fieno.

Al mio precedente articolo pubblicato in questo blog, sono stati riservati molti commenti che hanno creato discussioni, e ciò è un fatto positivo.
Desidero quindi approfondire l’argomento, anche per chiarire il concetto che oggi è di grande interesse.
In riferimento alla qualità del latte e ovviamente alla qualità dell’alimentazione delle lattifere, c’è, probabilmente, un po’ di confusione, determinata a volte dalla poca conoscenza dei fatti e a volte dall’estremismo con cui si ragiona a livello di “pregiudizio sugli allevamenti”.
Desidero puntualizzare la mia convinzione che un’alimentazione naturale delle lattifere, ovvero quella riservata ad animali allevati allo stato brado, porta solo benefici alla salute dell’animale, alla qualità del latte, e di conseguenzaalla qualità del prodotto trasformato in primis il formaggio.
Proprio per queste convinzioni ho scelto di occuparmi di ricerca dei formaggi italiani a latte crudo e non a caso ho gestito, allevando vacche e capre e lavorato latte, diverse realtà malghive in alpeggio.
Il latte munto da lattifere che hanno assunto solo erba, o al massimo fieno, denota caratteristiche di eccellenza, quelle caratteristiche che il casaro attento cercherà di conservare nel formaggio frutto della trasformazione.
Se ci si basa su questo aspetto, ovvero se si parla di animali che sono liberi di scegliersi l’erba che più li aggrada in montagna o nei luoghi dove è vigente la cultura del pascolo, è facile comprendere che il nostro Paese non ha le caratteristiche estensive per essere considerato “il paese del pascolo”.
I pascoli in Italia hanno superficie ridottissima che non consente certo un globale allevamento delle lattifere allo stato brado come un tempo, quando il numero degli animali allevati era più limitato, o meglio quando anche le famiglie possedevano pochi capi, e la forestazione non aveva preso il sopravvento su pascoli e prati che erano una grande risorsa.
Oggi non è più così.
Alimentare in Italia con il frutto del pascolo è praticamente impossibile. 
Quindi vacche e capre sono allevate in modo più o meno intensivo, ma anche in piccole aziende.
Nel mio precedente articolo ho parlato dell’alimentazione delle capre che vivono in stalla, non a stabulazione fissa come qualcuno ha interpretato (sarebbe impossibile) ma a stabulazione libera, come in moltissimi allevamento soprattutto al Nord.
Oggi allevare animali da latte in stalla è una realtà impossibile da eliminare, ma da gestire con tutti i carismi della salvaguardia della salute animale, iniziando da una corretta alimentazione.
In stalla, le lattifere devono poter mangiare prodotti selezionati di prim’ordine anche se non sarà, in molti casi, possibile alimentare gli animali con erba fresca, verde.
L’allevatore deve cercare comunque di servirsi del frutto dello sfalcio di prati stabili e quindi di buon fieno, provvedendo a sostituire i mangimi industriali con i prodotti derivati dalla buona coltivazione come molti cereali o altre essenza naturali.
Certo è che se si alimentassero animali con prodotti bio… Ma in Italia, è quasi impossibile, almeno per la maggior parte delle aree agricole.
Nel ragionare sull’alimentazione delle lattifere o degli animali da carne, non ci si può esimere dal pensare che oggi si vive in un mondo dove, purtroppo, la quantità è in contrasto con qualità.
Ciò ci deve investire di una responsabile azione migliorativa che ci consenta di andare in controtendenza, ovvero diminuire la quantità per aumentare la qualità.
Qualora fosse possibile l’allevatore si deve impegnare a far pascolare gli animali anche solo nel periodo estivo quando l’erba è edibile, ma se ciò non fosse, si deve assumere la responsabilità di alimentare le lattifere con prodotti sani e provenienti dalla natura incontaminata.
Mi rendo conto che non è facile.
Tra le varie discussioni, che hanno seguito il mio precedente articolo, è anche emersa una critica al Latte Nobile, marchio istituito qualche anno fa da Anfosc, per far si che il latte munto da lattifere che non pascolano (ricordo che i pascoli in Italia, dov’è possibile, sono disponibili non più di 5-6 mesi l’anno) possa avere caratteristiche chimiche e fisiche il più possibile simili a quelle contenute nel latte di lattifere che vivono allo stato brado.
Da ciò se ne deduce che nel periodo in cui le lattifere vivono in stalla, devono comunque essere alimentate.
Ciò che ho scritto precedentemente e, oggi, in questo scritto, ha una forte corrispondenza a quanto stabilito dal disciplinare imposto all’allevatore che aderisce all’interessante progetto “Latte Nobile” anche se di difficile applicabilità.
In alcuni scritti di Anfosc, si legge:
Cosa è il Latte Nobile? È il latte più vicino al primo tipo, (animali allevati al pascolo) ai sistemi al pascolo e abbastanza lontano al secondo (animali alimentati con unifeed). Non è prodotto (il Latte Nobile) con animali al pascolo… per il semplice motivo che gli animali al pascolo producono latte per un massimo di sei mesi l’anno…
Condividendo quanto dichiarato da Anfosc, sono dell’opinione che l’allevatore italiano deve privilegiare un’alimentazione basata su un rapporto in cui vengono adottate erbe di essenze diverse e integratori, se necessari, naturali.
In Italia questa non è solo una teoria ma una possibilità che deve diventare scelta di filosofica aziendale per migliorare la qualità del latte, magari in previsione di ampliare l’attività di produzione di latte con la trasformazione casearia.

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