Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > La tecnica non tecnica, ovvero quella che non c’è
Mi capita spesso di visitare piccoli caseifici a volte compresi nell’edificio di abitazione del pastore, dove viene trasformato il latte in formaggio. In molti di questi casi il pastore è la stessa persona che lavora il latte e, altrettanto spesso, lo è la moglie.
In effetti sin dai secoli passati era la donna ad occuparsi del latte e, come fosse una semplice vivanda, lo lavorava con estrema semplicità. Accade anche oggi. Nelle piccole realtà, dove unico strumento di caseificazione è il paiolo di rame stagnato, la donna, una volta che il pastore le ha consegnato il latte, immette il caglio senza che sia avvenuto alcun riscaldamento e attende che la cagliata sia pronta.
Ma non ha fretta, non ha importanza il tempo di coagulazione del latte, ma il Suo tempo.
Si occupa, la donna, dei servizi in casa, di mettere la pentola sul fuoco per il pranzo del marito e dei figli e per ultimo si ricorda che il caglio dovrebbe aver agito sul latte. Si reca nell’apposita camera, rompe la cagliata e continua con le sue faccende casalinghe o, meglio, aziendali.
Poi, torna a estrarre la cagliata, ormai fredda, per porla nei cestini o nei giunchi.
È quindi un’operazione del tutto inerente alle occupazioni famigliari della donna, padrona di casa e dello pseudo caseificio, dove avviene che il latte si trasforma in formaggio.
E quello che stupisce maggiormente è che il formaggio, al di la di una tecnica non tecnica, ne ho già parlato, diventa buono, assume le caratteristiche di un prodotto che non presenta difetti, almeno all’apparenza.
E qui, l’esperto, il consulente, il tecnologo si interroga. Come può un formaggio assumere caratteristiche organolettiche spesso eccellenti, se proveniente da una tecnica non tecnica? Cosa si studia a fare la tecnologia casearia o meglio la batteriologia applicata alla trasformazione, se basta aggiungere caglio al latte, dimenticarsi che si sta trasformando, per ottenere un buon formaggio?
La trasformazione, così come l’ho descritta, e il suo buon risultato, è un fatto puramente naturale che può avvenire solo in alcuni casi, ovvero dove la natura è incontaminata, dove le lattifere assumono un’alimentazione del tutto naturale, e perché no, biologica, e dove l’aria e l’acqua non hanno ancora subito mutamenti dovuti all’incuria dell’uomo.
Ciò però non basta, sarà pur vero che la moglie del pastore ottiene buoni formaggi con questo metodo non metodo, ma è pur vero che, la stessa donna non ha alcuna conoscenza del latte e delle sue provate problematiche. 
Finché tutto fila liscio e la lavorazione non presenta problematiche che portino ad ulteriori problematiche al formaggio, va anche bene, ma nel momento in cui il latte, anche per banalissimi motivi, assume caratteristiche patologiche, allora non va più bene.
Si può continuare a lavorare il latte in modo tradizionale, storico a volte, ma la conoscenza del latte e della tecnica di trasformazione deve essere alla base culturale di chiunque metta le mani nella cagliata.
È il futuro della nostra forza che mira alla trasformazione consapevole, consapevole del fatto che il latte è talmente vivo che a volte agisce per conto proprio, nel bene e nel male.

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