Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > La montagna, la vera origine del formaggio

Quando salgo verso le vette sia esse alpine o appenniniche mi viene spontaneo pensare ai luoghi più adatti dove fare formaggio di qualità. Forse quello che scriverò potrà sembrare banale ma sarà comunque una “banale verità”.

Un tempo fare formaggio significava provvedere a conservare il latte, che veniva munto dai pochi animali allevati dalla famiglia, che non si preoccupava certamente della qualità del risultato famigliar-caseario. 

Chissà, forse i tenori di vita degli uomini e donne di un tempo e dei loro animali portava a fare formaggi senza quelle che oggi definiamo patologie. Non ci è dato capire bene questo fattore, o almeno io non sono in grado di dare un giudizio, non c’ero.

È assodato che se allora non vi erano controlli del latte e del formaggio oggi al contrario i controllo ci sono, eccome ma, oltre a ciò, che diversità possiamo riscontrare tra il formaggio di un tempo, anche di solo quello di 50 anni fa, con quello attuale?

E qui torno al pensiero che mi viene quando ascendo le montagne, sia se mi trovo in un fitto bosco sia quando fatico per salire un ghiaione o mentre arrampico le spettacolari e irte rocce. 

Cos’è la montagna, come può oggi, nel tempo del web e di tutte le stregonerie moderne, convivere con l’uomo? 

C’è da dire che la montagna vista dagli occhi di chi trasforma il latte in formaggio, è sinonimo di benessere animale, di buona alimentazione verde per le lattifere, di latte sano carico di benefiche proprietà, anche organolettiche, insomma è davvero sinonimo di qualità.

Ma la montagna per lo più è abbandonata a se stessa, i boschi si allargano sempre più, affossano le valli, soffocano i paesi che un tempo, e anche qui non tanti anni fa, erano circondati da prati o da pascoli attivi che permettevano l’arieggiamento sia della foresta sia dei centri abitati.

Oggi i pascoli sono sempre meno e l’Italia appenninica e alpina non consente più un allevamento allo stato brado se non in pochi luoghi ancora integri.

Il bosco è importante, porta verde e ossigeno soprattutto se curato con i dovuti tagli che consentono ai fusti di non “filare” ovvero di crescere striminziti e altissimi ma imponenti e sani. 

Il pascolo quindi fa parte di quell’ecosistema di cui si parla molto, ma che nessuno pensa di ricostituire. 

Eppure con il pascolo avremo la possibilità di limitare l’allevamento industriale, favorendo i piccoli e medi allevatori che potrebbero trasformare i loro metodi di lavoro a favore della qualità del latte. Ecco allora la grande differenza fra il formaggio di 50 anni fa e quello attuale. 

Con la conoscenza che oggi abbiamo e il desiderio di proporre prodotti sani e di qualità potremmo davvero migliorare il formaggio tipico o di fantasia, potremmo davvero dare al consumatore un alimento sano, potremmo davvero migliorare la vita dell’uomo e dell’animale allevato. 

Ma abbiamo bisogno del pascolo, abbondante di erbe spontanee, e dell’uomo che non disdegni di faticare perché la montagna è dura da vivere e da lavorare.  

Sempre, quando giungo in vetta a una montagna mi viene spontaneo, osservare i verdi pascoli e di cercare di individuare gli animali che si alimentano liberamente, e sognare un formaggio perfetto che possa concedere, a chiunque lo assaggi, quell’emozionante sensazione che può derivare solo da un pezzetto di natura.

Per questo, ogni volta che sono in cima, piccolo piccolo nell’immensità, gusto, in un indescrivibile silenzio, un pezzetto di formaggio fatto da latte sano buono munto da animali che hanno mangiati solo l’erba della montagna.

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