Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > Importanza ed effetti dell'insilato sul formaggio

 

Prendendo spunto da una domanda che mi è stata rivolta durante una conferenza presso un’azienda casearia, desidero condividere la risposta con voi che leggete questo post. Ecco la domanda: che cos’è l’insilato e che effetti può avere sul formaggio? 

L’insilato non è altro che un tipo di alimentazione bovina (solitamente) che viene ricavata soprattutto dal mais ma anche da altri cereali come il frumento. La raccolta avviene proprio in questo periodo, ovvero il mais, il frumento è già stato mietuto nel mese di maggio, nel momento in cui la pianta è ancora verde e fiorita, poi viene triturata e posta negli appositi silos (dal nome silo-mais o insilato). Non si pensi che sia una tecnica moderna essa è molto antica, si parla di mille e più anni a.C., quando era necessario, come ora, conservare a lungo l’alimento per gli animali.

Causa la forte umidità del raccolto e la temperatura nei silos, il prodotto fermenta, e diventa, a volte aiutato anche dall’innesto di appositi batteri, un alimento molto energetico ormai essenziale per le bovine allevate soprattutto nelle stalle di pianura.

Al latte e al formaggio, cosa determina? Ha influenza positiva o negativa? L’ìnsilato non è somministrabile da solo, esso viene miscelato con fieno o medica, con farina di mais, soia e altri prodotti vegetali che l’allevatore decide di inserire nella dieta che, equilibrata, fa si che gli animali vivano in salute e producano anche un bel po di latte.

Il fattore quantità, di latte prodotto, è ormai risaputo, non è più un problema semmai il contrario cioè quello di produrne poco. Il fattore qualità è un’altra cosa. Il latte munto da bovine  alimentate da insilato non ha certo le stesse caratteristiche di quello le cui lattifere sono alimentate solo a fieno oppure in alpeggio, ma con lo stesso latte possono essere fatti formaggi di qualità, e in Italia sono molti.

Il problema sussiste invece non tanto per il tipo di alimentazione delle lattifere, quanto per la presenza dell’insilato nei pressi della stalla, della sala mungitura e del caseificio. Il problema, dicevo, è strettamente legato ad un batterio, non patogeno, che vive proprio per la presenza dell’alimento fermentato, il Clostridium butyricum.

Si tratta di un microrganismo eterofermentante, forte produttore di gas, che provoca danni irrimediabili nei formaggi in particolare quelli a pasta dura e a lunga stagionatura. Naturalmente il batterio giunge al formaggio tramite il latte che una volta munto viene inquinato dal clostride. Il casaro deve ovviare ai danni che può causare la presenza del famigerato Clostridium qualora il latte, crudo, debba diventare un formaggio da stagionare. La prevenzione è attuata tramite l’utilizzo di lisozima, sostanza antibatterica e conservante.

Non pensiate che il lisozima sia un prodotto nocivo, deriva da un enzima dell’uovo e quindi è naturale, tanto che è presente anche nelle nostre lacrime. Il consumatore comunque deve sapere che in alcuni formaggi vi è la presenza di questo coadiuvante tecnologico.

Questa è, molto ma molto brevemente, una problematica che collega l’alimentazione delle lattifere al formaggio, le cui caratteristiche organolettiche sono sempre influenzate dall’alimentazione dell’animale, a volte in modo negativo, a volte in modo positivo, sta di fatto che, spesso, la tanta quantità di latte prodotto è in contrasto con l’alta qualità del formaggio.

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