Sei in > formaggio.it > Michele Grassi > Il formaggio è femmina

Quando il latte era munto con la forza delle mani, non è passato molto tempo da allora, la pastorizia era al culmine della sua influenza economica. Questo fattore riguardava soprattutto i territori dove non vi era altro che montagne, pascoli e la povertà incombeva. Allora la gente delle montagne viveva in condizioni precarie ma possedeva un bene determinante nella loro vita, la famiglia. Dal nonno o dal bisnonno al nipote, ognuno aveva un ruolo non solo legato ai doveri famigliari ma anche al lavoro.

Solitamente le famiglie si occupavano di allevare pecore al pascolo o vacche mantenute in stalle a stabulazione fissa, ma si occupavano anche del lavoro dei campi, prevalentemente lo sfalcio dei prati.

Ecco allora entrava in gioco la figura della donna, solitamente la moglie del fattore, mai la suocera o la nuora, quest’ultima almeno fino a quando la “vecchia” non aveva più voce in capitolo. La donna, appunto, era lei che faceva il formaggio. Ma non solo, si occupava anche di tutto ciò che riguardava quella che oggi chiamiamo la filiera.

In Italia i formaggi che ancora oggi ricordiamo come il frutto del lavoro della donna sono veramente tanti, e riguardano l’intero territorio alpino e appenninico, tanto che esistono ancora luoghi dove la donna fa “da padrona”.

È bello ricordare queste meraviglie rurali, ovvero quei formaggi tradizionali, che sotto la sigla P.A.T. hanno fatto la storia del cacio e di conseguenza del territorio, com’era e come è. Si pensi alla fatica delle donne che nel bergamasco portavano al mercato l’Agrì di Valtorta su gerle di giunco, o alla certosina pazienza di quelle che, per poi fare il Formaggio Caprino al lattice di fico nel territorio marchigiano, raccoglievano la sostanza da utilizzare come coagulante del latte.

Sempre nella regione Marche le donne si occupavano di fare il Cascio pecorino, mentre in provincia di Bolzano il Graukase, il formaggio grigio. Come vedete la “casara” non è solo donna di casa ma di latte, ovvero della lavorazione di questa eccezionale sostanza che permette, in ogni luogo del nostro Paese, di fare il formaggio.

Non voglio dimenticare alcune testimonianze di donne con le mani “in pasta” anche se ce ne sono altre, per capire davvero che il formaggio “femmina” nasce dappertutto. In Toscana è un classico esempio il Marzolino di Lucardo mentre in Piemonte, nelle Langhe, è di uso fare il formaggio al femminile per quanto riguarda il Murazzano D.O.P.

Anche in Valle d’Aosta come nella totalità delle regioni italiane gli esempi di donne in caseificio non sono solo una realtà del passato ma anche del presente e, mi piace ricordare il Pecorino di Farindola, unico formaggio in Italia e forse nel mondo intero, che si fa con caglio di maiale. Questo formaggio è proprio “femmina” dalla produzione aziendale del caglio alla caseificazione e a tutte quelle azioni che le donne abruzzesi provvedono a fare per donarci il loro prodotto tipico locale.

Vedete come il ruolo della donna si allarga, da massaia a matrona da lavoratrice dei campi a imprenditrice, da semplice operaia a casara, ruolo, quest’ultimo, che la rende partecipe attiva della storia del formaggio.

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