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Diventa sempre più infelice salire le montagne per visitare malghe. Cosa sta succedendo?

di Michele Grassi

Diventa sempre più infelice salire le montagne per visitare malghe.

Già, oggi anche le malghe sono diventate luoghi dove il formaggio trasformato non ha nulla a che fare con la tradizione, che si è persa strada facendo.

Cosa sta succedendo?

Qualche giorno fa mi sono recato in alcune malghe delle Dolomiti in provincia di Belluno, chi mi conosce sa che è il territorio che prediligo proprio per motivi caseari e che conosco profondamente, naturalmente per vedere come e cosa viene prodotto.

È un’esperienza che faccio ogni estate da ormai tanti anni, che mi ha sempre consentito di ammirare la vetrina degli alpeggi alpini veneti. Mai però come in questi ultimi anni ho potuto vedere come sta scomparendo il formaggio tradizionale dolomitico per dare spazio a formaggi di tutt’altra tecnologia.

Il formaggio della tradizione dolomitica bellunese s’identifica in due tipologie abbastanza simili fra loro che nascono dall’esigenza di proporre al consumatore, oggi è un businnes ma un tempo era una necessità, il burro d’alpeggio. L’Agordino di malga e il Malga bellunese, sono i due formaggi che mi aspetterei di trovare nelle malghe che ogni anno vado a visitare, ma non è sempre così. I due formaggio, come dicevo, sono piuttosto simili, vengono fatti da latte semigrasso crudo, con o senza utilizzare lattoinnesto o sieroinnesto, dalla pasta semicotta o cotta a seconda del tipi di stagionatura, pressata, e pasta semidura. Formaggi che danno il loro meglio dopo 45-60 giorni di maturazione e per questo hanno la necessità di essere stagionati in luoghi del tutto naturali come camere fresche in malga o semplici magazzini anche refrigerati, se necessario.

Già da alcuni anni mi sono reso conto di alcuni fattori che hanno contribuito alla scelta, del casaro o del malgaro, di abbandonare la tecnica del formaggio d’alpeggio classico per intraprendere quella del formaggio a pasta molle, nella maggior parte dei casi.

Fattori che indubbiamente partono da considerazioni errate del casaro di malga che probabilmente pensa più al guadagno immediato che non alla qualità del formaggio.

Ebbene, trovarsi in malga e vedere le proposte casearie limitate alla caciotta con fermenti selezionati, a quella senza fermenti o speziata, è una delusione mondiale.

Dover acquistare una caciotta di due settimane fatta con latte probabilmente di notevole caratteristiche organolettiche m’inspira il pianto.

Ultimamente molti di coloro che si occupano della trasformazione in alpeggio sono giovani che hanno, con coraggio e passione, intrapreso una professione capace di dare soddisfazione e naturalmente lavoro. Mi è capitato di incontrare alcuni di loro usciti da scuole di caseificazione, spesso private, dove vengono preparati alla lavorazione di latte, soprattutto pastorizzato, e dove apprendono tecniche di produzione da latte pastorizzato adatte a formaggi a pasta molle, i più facili dal punto di vista tecnologico, ed economicamente remunerartivi. La loro preparazione è quindi predisposta a produrre formaggelle capaci di essere vendute a un pubblico che non conosce, e quindi non ama, i formaggi che invece dovrebbero dare sentori sensoriali di tutto rispetto.

Giungere in malga e trovare solo mozzarella è un macigno che ti piomba in testa e ti fa precipitare nella forra più profonda della montagna.

Trovare caciottame e formaggi del tipo stracchino in malga è la più grande offesa a quelle lattifere che faticosamente pascolano e si alimentano di erbe eccellenti e naturalmente è uno spreco di latte fantastico.

Il formaggio tradizionale sta scomparendo. Rimane tale, per lo meno nei casi in cui ho potuto verificare, e non sono pochi, solo quando il malgaro è da secoli accanto al paiolo riscaldato dal fuoco a legna.

Non pensiate che la mia sia un’infatuazione del vecchio, al contrario, sono un profondo innovatore anche quando mi occupo della salvaguardia del formaggio tradizionale che ritengo debba essere mantenuto ma con applicazioni che solo l’attuale conoscenza ci permette di considerare e appunto applicare.

E’ ora di rivedere tutto ciò che è considerato “d’alpeggio”, dal formaggio naturalmente e a ritroso, al casaro che non può dimenticare che il latte che sta utilizzando è il frutto del lavoro e dell’alimentazione naturale, biologica, di animali che, per la nostra necessità, pascolano sulle montagne.

Non dobbiamo dimenticare che la professione del malgaro implica oggi la profonda conoscenza delle tecniche casearie, ma soprattutto del latte, delle sue caratteristiche e di come si deve lavorare crudo.

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