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…mi conduce in un angolo dove vengo assalito dall’intenso odore acre, e al gusto autentico della ricotta shquand

di Francesco Linzalone

Il Panzerotto!! Quando ho partecipato alle grandi fiere di Slow Food, sono sempre rimasto meravigliato dal grande successo che riscuote il panzerotto pugliese. File interminabili ai chioschi del Salone dove cuochi lavorano incessantemente per servire fumanti semilune dorate, calde e morbide. Per noi di area appulo-lucana il panzerotto è un cibo molto comune. Un classico street food. Qualsiasi centro tra Puglia e Basilicata non può non avere un qualsiasi locale dove vengono serviti. Il panzerotto và mangiato a 90°. Ci si deve piegare. Tronco e arti superiori si devono protendere in avanti, altrimenti il contenuto liquescente sgocciola inevitabilmente sulla camicia. Và mangiato caldo, bollente. La lingua si scotta ma la sua bontà costa il sacrificio. Come si prepara: pasta lievitata da stendere in dischi come pizzette; farcia: mozzarella e pomodoro pelato sgocciolati, sale. Il latticino và sfilacciato o tagliuzzato e adagiato insieme al pomodoro sulla pasta che quindi viene chiusa e sigillata. Passaggio in olio d’oliva caldo finché dorato. Semplice, gustoso, accattivante, crea dipendenza, si rischia di diventare consumatori seriali. Un panzerotto assicura la cena.

La mia memoria però mi porta a qualcosa di dimenticato, a quei cibi che la smania consumistica ha emarginato nello scarto dell’oblio alimentare perché complicati da realizzare o difficile da far apprezzare alla massa. Associo una parola ormai sconosciuta: Shquand. L’ho sentita da ragazzo per la prima volta quando a casa di una parente pugliese sentii venir fuori da un vasetto di terracotta un pungente odore di acido e di fermentato e da cui tirarono fuori una crema giallastra. Quella sera ci furono panzerotti con la ricotta shquand. Io però mi sottrassi a quella che aveva tutta l’aria di una prova di iniziazione. Oggi, a distanza di tempo, ho intenzione di riscoprirla nelle sue origini.

Mi informo. Dove? Acquaviva delle Fonti. Il paese della cipolla, il presidio!!

Ho parenti lì. Mi rivolgo a loro per indicarmi qualcuno a cui poter chiedere la ricetta della ricotta “forte”. Fanno di più. Mi conducono in una masseria dove già si sente l’odore inconfondibile e familiare di ovini. La padrona di casa è una signora, 78 anni, che per la mia venuta ha preparato una sorpresa. In cucina ripiani di legno custodiscono allineati e immobili mezzelune pallide di pasta rigonfia.

Ci accomodiamo, il tempo di due chiacchiere, e compaiono i protagonisti caldissimi. Rompo a metà la pasta fumante. I presenti mi guardano come in attesa di qualcosa. Primo morso. Mastico e…. un’esplosione piccante in bocca e mia reazione ululante. Ridono di gusto. La bocca è avvolta dal contenuto del panzerotto per fortuna stemperato dalla dolcezza avvolgente della pasta. Lo consumo con gusto crescente. Ma non è finita. L’anziana signora su di un piatto serve un’apparentemente innocua pizza farcita di cipolle già tagliata. Il calzone di cipolle di Acquaviva. Aspetto invitante, sfoglia sottilissima, farcia non abbondante. Si intravede la cipolla in un impasto semi umido. Mi avvento. Mastico, aspetto, e anche i commensali aspettano…. la mia reazione. Mi alzo in piedi masticando ed esclamando: BUONISSIMA!!! Un tripudio di sapori forti e dolci, intensi, prolungati ,autentici. Per spegnere il fuoco mi servono subito un generoso bicchiere di vino rosso: Primitivo di Gioia del Colle. Morbido e robusto come il sole della Puglia. Il solo capace di sostenere sapori così complessi.

Col bicchiere ancora in mano seguo l’anziana dietro una tenda che sollevo. Tre donne armeggiano ad una pentola di olio bollente in cui galleggiano panzerotti. La signora invece farcisce i dischi di pasta con la ricotta e il pomodoro. Con naturalezza chiude il disco e sigilla. Ma ormai sono incuriosito dalla cosa per la quale sono là. La ricotta shquand. La signora la produce personalmente e la nipote sta apprendendo la tecnica perché non vogliono rinunciare al gusto autentico della shquand. Mi conduce in un angolo dove vengo assalito dall’intenso odore acre. In un contenitore di terracotta mi mostra una massa di ricotta in lavorazione. Và mescolata ogni giorno per non farla aggredire dalle muffe che non devono prendere il sopravvento. Immagino che siano batteri e lieviti a svolgere il lavoro di trasformazione a carico di grassi e caseina e far liberare quei profumi così pungenti e complessi. E’ un lavoro che dura mesi, finché non è matura raggiungendo il massimo dei sapori. Non ci sono ricette scritte. Mi omaggia di un vasetto. Bacio quelle mani ricche di saperi antichi.

14 ottobre, il mio compleanno. Voglio invitare gli amici a casa e prevedo di riservare una sorpresa. Tra teglie di lasagna, cime di rapa, pancetta di maiale al forno ed erborinati voglio servire qualcosa di nuovo e antico. I miei coetanei apprezzeranno qualcosa che risveglierà la memoria perché sono convinto che anche loro hanno conosciuto la shquand.

 

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