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Il vero formaggio d’autore, è quello che pensi tu? Ne sei certo?

di Michele Grassi

Oggi il formaggio è senza dubbio l’alimento che non manca mai nelle case sia degli italiani che di tanti paesi europei. E proprio nell’Europa della CE che nascono idee che spesso servono solo a destabilizzare il mercato qualitativo italiano di latticini e formaggi. Dal latte in polvere, concesso ormai nella quasi totalità dei paesi, alla cagliata congelata, che transita libera nelle strade italiane proveniente prevalentemente dall’est, dal latte microfiltrato che negli ultimi anni l’Italia ha iniziato a preparare mentre prima non era legale. Una serie di normative comunitarie che sminuisce il prodotto tipico a favore non si sa di chi, visto che la grande industria è forse l’unica oggi che si rende conto che il consumatore medio italiano desidera continuare sulla strada della tradizione e della tipicità.

Ma è proprio così? Non credo che l’italiano medio viaggi appositamente per incontrare casari disposti a presentare, per vendere, il suo formaggio tipico o meno che sia. Pare invece che questo tipo di “turismo” sia in voga per il confratello dell’agro alimentare, il vino, tanto che ormai le cantine vengono aperte non solo durante le manifestazioni tematiche ma anche in molti altri periodi dell’anno. In effetti i cultori del vino e le associazioni che incrementano la cultura enoica, sono in crescita esponenziale, non solo per il gusto di bere ma per il gusto di imparare, di conoscere di curiosare in un mondo fantastico.

E mi permetto di affermare che di fantastico non c’è solo il mondo del vino ma anche quello del formaggio, E mi permetto ancora di affermare che più fantastico, curioso, e difficile c’è solo il mondo del formaggio.

E allora vediamo che non solo le normative comunitarie o americane, ultimamente, sono discriminanti rispetto alla cultura della tipicità, del formaggio senza additivi o a latte crudo, ma lo sono anche le poche conoscenze che il consumatore ha nei confronti del formaggio.

E’ la solita storia, molti formaggi in Italia hanno caratteristiche di eccellenza solo per gli esperti, solo per coloro che di pasta caseosa ne hanno conoscenza. Per questo è necessario parlare di formaggio, presentarlo semplicemente non serve, è inutile che le trasmissioni televisive mostrino realtà agricole o industrie mostrando i formaggi così, sono buonissimi perché sono tipici, non è questo che dobbiamo fare per incrementare una cultura casearia che porti il consumatore medio ad apprezzare un formaggio non solo perché gli piace ma per le sue vere caratteristiche che possono essere riconosciute solo con la conoscenza.

Quando il settore caseario si impegna a vendere un  prodotto, frutto più del marketing che della qualità del latte da cui viene trasformato, lo fa sfruttando un’immagine ruffiana che appare più della qualità di ciò che si sta proponendo al consumatore. Bene, è corretto pubblicizzare un prodotto, ed è certamente lecito, così come sarebbe lecito che il consumatore capisse il vero valore del formaggio che acquista.

La conoscenza quindi, che non è pari all’informazione dei media e non corrisponde certo con la visibilità ruffiana della pubblicità.

Il consumatore apparentemente esperto e cognito degli aspetti nutrizionali, oggi acquista spesso leggendo solo le caratteristiche nutrizionali scritte sull’etichetta, ma non comprende che non  basta acquistare le Kcal ma informarsi sui veri ingredienti del prodotto. Certo non tutti possono essere capaci di intravedere le fregature degli ingredienti ma nel caso del formaggio, sia esso in forma con crosta, in busta senza crosta, in vaschetta spalmabile o in acqua, è bene capire che gli ingredienti devono essere solo alcuni, come ad esempio il latte, guarda caso è necessario, e il caglio o i fermenti lattici e come conservante che sia naturale, il sale. Punto.

Ma se vogliamo anche questo non basta è necessario conoscere, il tipo di allevamento da cui proviene il latte,  come vengono alimentate le le lattifere, come avviene la trasformazione, sia essa industriale, artigianale, pastorale.

Ciò non significa che il consumatore debba diventare inquisitore ma curioso, capace di interessarsi al formaggio come farebbe con il vino per il quale richiede il territorio di provenienza, il tipo di terreno, argilloso o sabbioso, il tipo e l’età del vitigno, il colore dei capelli del cantiniere eccetera eccetera.

Così dev’essere per il formaggio, a maggior ragione anzi, perché se dallo stesso vitigno e dalla stessa pigiatura ne deriva un solo vino, dal latte lavorato nella stessa caldaia possono essere fatti un numero infinito di tipologie di formaggio.

Caro consumatore ti scrivo per incuriosirti un po’, invitarti ad informarti maggiormente sul formaggio per formarti, a favore delle tue sensazioni sensoriali, a favore delle tua salute, a favore del riconoscimento del vero formaggio d’autore che magari, non è quello che tu pensi.

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