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Un latte così ricco di colore, odore, sapore e proprietà benefiche, fa davvero bene all’ambiente, agli animali e in conclusione a noi tutti.

di Fernando Marzillo

Il comparto alimentare del latte fresco (ovvero con durata non superiore ai sei giorni successivi la data del trattamento termico), include le tipologie “Fresco Pastorizzato” e “Fresco Pastorizzato di Alta Qualità”.

Per essere riconosciuto tale, il “Latte Fresco Pastorizzato di Alta Qualità”, deve rispondere ad alcuni stringenti e superiori requisiti di composizione (tenore in materia grassa ≥ a 3,5%; materia proteica ≥ a 3,20%), igienico sanitari (germi per ml≤ a 100.000; cellule somatiche ≤ a 300.000) e tecnologici (siero proteine non denaturate ≥ a 15.5%), indice questo che misura il danno termico occorso alla materia prima).

La denominazione di pregio attribuitogli lusinga il consumatore che ne giustifica il prezzo d’acquisto più elevato, ma oggi dopo oltre 30 anni dall’entrata in vigore della legge che ne regolamenta la materia, mi chiedo se sono forse maturi i tempi per una sua rivisitazione.

Personalmente credo di sì, e di seguito provo a motivarne le ragioni.

La prima è riconducibile ai lusinghieri valori nutrizionali e microbiologici raggiunti che, vuoi per la selezione genetica attuata nel corso degli anni, vuoi per il continuo miglioramento delle condizioni di allevamento, non sono più ad appannaggio esclusivo dei soli produttori di alta qualità. Il binomio genetica e stabulazione (si pensi alle più igieniche e funzionali sale di mungitura in luogo degli obsoleti impianti fissi alla posta), insieme ad una corretta alimentazione, sono stati fattori determinanti nel conseguire diffusamente gli standard produttivi e sanitari richiesti.

In questo contesto le dichiarazioni nutrizionali del “Latte Fresco Pastorizzato”(che peraltro alcune industrie già producono marginalmente), confrontate con quelle del latte “Alta Qualità” sono pressoché analoghe, ed anche una personale analisi sensoriale mi ha confermato una grande somiglianza tra le due proposte commerciali.

La seconda considerazione che mi accingo ad esporre, vuole invece prendere in esame le mutate dinamiche di mercato maturate in questo lasso di tempo. Il consumatore variando i propri stili di vita e abitudini alimentari, ricerca oggi negli alimenti e in questo caso nel latte, non più i soli valori nutrizionali in grado di assolvere il compito alimentare, ma anche specifici fattori funzionali capaci di migliorare il benessere psico-fisico e ridurre/prevenire il rischio di malattie legate all’alimentazione, anche attraverso un’azione di contrasto che tali fattori esercitano sui naturali processi degenerativi dell’organismo.

In quest’ottica “leggere” nell’alta qualità del latte unicamente le elevate percentuali di proteine e lipidi mi pare riduttivo, nonostante recentemente si stia rivalutando della frazione lipidica, sopratutto la componente insatura. Ed è su questa importante quota che in un futuro spero prossimo, vorrei si definissero i criteri per parlare davvero di Latte di Alta Qualità e di “rimbalzo” delle sue proprietà funzionali e caratteristiche sensoriali.

Ma sull’importante presenza degli acidi grassi insaturi le etichette nutrizionali non consumano inchiostro, tuttavia possiamo estrapolarne la percentuale dividendo la quota dei grassi saturi riportati su una generica bottiglia di latte Alta Qualità (2,6 gr/100ml), per il totale della materia grassa (3,6 gr/100ml) e moltiplicarne il valore per 100. Nota l’incidenza della frazione satura (72%), si desume per differenza la quota insatura (28%) che purtroppo in etichetta non viene menzionata.

I valori per la propria natura del latte, sono normalmente a favore dei grassi saturi (la letteratura riferisce un rapporto di 2/3 ed 1/3 ), ma razionamenti spinti accompagnati da elevati consumi di mangimi concentrati ed insilati, concorrono a farli ulteriormente lievitare a discapito dei più salutari insaturi. Queste condizioni che purtroppo possono diventare frequenti negli allevamenti intensivi, scontano le alte prestazioni delle lattifere, con una minore longevità dell’animale, una maggiore suscettibilità ad alcune malattie metaboliche e vanno a discapito di un processo produttivo che dal punto di vista ambientale risulta scarsamente sostenibile.

All’opposto, quando l’alimentazione si basa anche sul consumo di foraggi freschi di prati polifiti stabili (terreni in cui la presenza umana è limitata ad eventuali sfalci e concimazione organiche, e dove le numerose specie vegetali si autorigenerano spontaneamente), il latte si arricchisce dei preziosi acidi grassi insaturi linoleico e linolenico (capostipiti degli omega 6 e omega 3), i quali rispetto al latte convenzionale si trovano in concentrazioni assai più elevate e sopratutto in rapporto ottimale. Entrambi ritenuti miglioratori della funzionalità del sistema immunitario, sono antiossidanti attivi nel contrastare i processi di cancerogenesi, aterogenesi e diabete. Il consumo di foraggi freschi determina anche un aumento della quantità di caroteni (precursori della Vitamina A), e indirettamente della Vitamina D qualora il sistema di allevamento sia di tipo pascolativo o estensivo.

Armato di curiosità e cercando di non lasciarmi condizionare da immagini e scritte bucoliche riportate su numerose confezioni, ho allora fatto un’indagine alla ricerca di latte Alta Qualità, in cui le due frazione grasse fossero tra loro più bilanciate. Lo studio non ha purtroppo condotto a dati incoraggianti. Per di più, in forza dei valori medi espressi, delle tolleranze e delle regole sugli arrotondamenti che le linee guida ministeriali prevedono, i dati potrebbero essere non sempre e non troppo rappresentativi della realtà.

In un paio di occasioni però, ho avuto il piacere o la fortuna di sorseggiare due differenti campioni di latte che alla vista mi avevano incuriosito. Uno semplicemente “Fresco Pastorizzato”, l’altro del tipo “Latte Fieno Fresco Pastorizzato S.T.G.”

Il colore non già bianco, ma virante al giallognolo per una maggiore quantità di caroteni (da non confondere con l’imbrunimento del colore, tipico del latte UHT), l’odore intenso e persistente di erba dovuto ai terpeni contenuti nei foraggi freschi ed il sapore pieno ed avvolgente, mi avevano piacevolmente stupito. Il desiderio di riempire nuovamente il bicchiere ancora avvolto da un alone di grasso, è stata la dimostrazione di una bontà ritrovata, che forse basterebbe a sé stessa a definire senza troppi proclami cosa sia per davvero l’Alta Qualità. Nella dichiarazione nutrizionale la conferma di ciò che attraverso l’analisi sensoriale avevo ipotizzato: il rapporto tra le due famiglie di acidi grassi era molto più equilibrato.

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