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Uno studio universitario mirato all’attività, nel nostro caso la pastorizia…  fa del pastore un allevatore differente

di Michele Grassi

Oggi avviene un fenomeno alquanto positivo, quello di giovani ragazzi e anche ragazze, dedicare la propria vita alla pastorizia, all’allevamento di capre o pecore. È di qualche giorno il servizio anche video, di repubblica.it, che narra della storia di un giovane, Luigi che ha preferito ereditare l’attività di pastore, del nonno e del papà, allo studio, all’università. Nell’intervista afferma chiaramente di aver preso questa strada per vocazione, per il desiderio di essere libero per poter leggere nelle pecore quello che probabilmente (probabilmente l’ho inserito io) non si trova sui libri. Certo sui libri la libertà non è visibile, l’amore per gli animali si trova altrove, ma…

Al contrario di molte realtà famigliari pastorali nelle quali il padre invita, a volte obbliga, il figlio a lavorare nel gregge, Luigi ha genitori che lo vedevano all’università forse per imparare bene come comportarsi con le pecore o forse per orgoglio, non mi è dato conoscere bene questo aspetto. Di fatto è che questo ragazzo avrebbe potuto tranquillamente studiare con il pieno appoggio della famiglia.

Ma Luigi sentiva che se avesse intrapreso il mestiere di studente, in pochi anni il suo amato gregge si sarebbe perso, scomparso, e da qui la decisione di iniziare una vita nuova.

Nulla di incomprensibile nella decisione di Luigi che ha visto un modo di mettere a frutto la sua grande passione per le pecore, per il biologico e per tutto ciò che comporta la filiera che termina con la produzione del formaggio.

Ma credo doveroso affermare che quello che la vita concede, se si ha la pazienza di contemplare e prendere le decisioni senza fretta, senza compromettere quello che può essere un cammino più lungo, alla fine paga con una maggiore professionalità.

Oggi la pastorizia non dev’essere considerata come l’ultima delle professioni che chiunque, anche chi non ha per niente studiato, può intraprendere,  ma una sorta di lavoro altamente specializzato che necessita di una preparazione superiore a quella che si potrebbe intendere. Conosco moltissimi pastori, tutti preparati ad allevare pecore o capre, a risolvere problemi di salute, di igiene e pronti a fare il loro formaggio, ma ne conosco alcuni forgiati di laurea che fanno la differenza. Eccome se la fanno la differenza. Uno studio universitario mirato all’attività, nel nostro caso la pastorizia, come può essere la facoltà di veterinaria, guarda caso quella della rinuncia di Luigi, ma anche agraria e altre, fa del pastore un allevatore differente, preparato maggiormente non solo a pascolare, a nutrire e curare gli animali, ma ad affrontare ogni altro aspetto organizzativo, culturale, e tanto ancora. La preparazione e l’apertura mentale che concede lo studio è stimolo per affrontare il lavoro-passione con occhi diversi, con metodi diversi.

Capisco la passione di Luigi, è la stessa che ho io nel mio lavoro, ma non comprendo la sua scelta, per lo meno non del tutto. A 20 anni si possono avere molte possibilità e molte possono essere le scelte, ma rinunciare allo studio, se si è predisposti, è davvero un errore che sarà riconosciuto ad età adulta quando non si potrà tornare indietro. Credo, nel rispetto delle decisioni di Luigi, che un allevatore formato, soprattutto con laurea, sia il futuro della pastorizia italiana e, non credo sia d’esempio un pastore che, pur potendo, non ha approfittato della possibilità di accrescere la sua professionalità con una base culturale forte, importante.

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