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Per produrre e gustare la qualità, il controllo della filiera produttiva deve essere totale

di Fernando Marzillo

Un vecchio proverbio emiliano di origine contadina, affermava che per controllare l’incremento termico della cagliata durante la fase di cottura, era preferibile affidarsi al gomito piuttosto che al termometro. Era questa la diffusa mentalità di molti casari che confidavano più nella acquisita e maturata esperienza personale, che nella possibilità di saper tradurre in azioni ciò che la ricerca di allora, sebbene ancora non evoluta offriva, per migliorare i processi produttivi con cognizione di causa.

Oggi, scienza ed esperienza si fondono tra loro e si alimentano vicendevolmente attingendo di volta in volta da un passato impregnato di abbondante empirismo, e da un presente tecnologico e scientifico. Questo è ciò che accade anche nella produzione del Parmigiano Reggiano D.O.P. nonostante, ma segnatamente al vociar del popolo, riecheggino di tanto in tanto due opposte dottrine che vogliono, l’una affermare che il formaggio è prodotto oggi come secoli orsono, l’altra sostenere come, di fronte agli automatismi produttivi, si sia perduta l’identità del prodotto artigianale di un tempo.

In passato i termometri al mercurio, furono progressivamente sostituiti da quelli digitali, più pratici, immediati nella lettura e più sicuri. Stessa sorte toccò alle damigiane di vetro ricoperte in vimini necessarie alla produzione del siero innesto, le quali hanno ceduto dapprima, di fronte alle fermentiere coibentate, quindi a quelle termostatate che, attraverso programmi di gestione, sfruttano le variabili temperatura e tempo per garantire le migliori condizioni alla moltiplicazione dei batteri lattici termofili, insostituibili guerrieri caseari.

Dove le condizioni, i numeri e le finanze lo consentono, si stanno diffondendo gli impianti di affioramento e separazione latte-panna su vasche circolari a piani sovrapposti che permettono una scrematura computerizzata attraverso tempi e temperature programmate. Altra cosa rispetto alle tradizionali vasche rettangolari. Una fase questa davvero importante, sia in chiave tecnologica per ottimizzare il rapporto tra grasso e caseina del latte in caldaia, sia microbiologica per controllarne le evoluzioni occorse nella notte, ed economica in funzione delle quotazioni del burro. Il funzionamento consente il lavaggio in autonomia, ma la decisione ultima per stabilire la percentuale di scrematura nel latte, si compie ancora manualmente sfruttando le sensazioni tattili percepite dalle dita al momento della spillatura, che per l’occasione si traducono in rilevatori di densità e untuosità.

Le valutazioni di come e quando effettuare la rottura, e la successiva cottura della cagliata, sono invece operazioni ancora manuali, di pertinenza esclusiva del casaro che su di sé carica oneri ed onori. Gli unici strumenti tecnologici a sua disposizione sono la spannarola ed il tradizionale spino, in alcuni casi oggi affiancato da quello meccanico, non sufficiente peraltro ad escludere la forza umana dalle iniziali fasi del processo in cui l’intensità e la velocità d’azione della spinatura, sono trasmesse dalla forza muscolare dell’avambraccio, mentre contestualmente la mano libera, monitora al tatto le trasformazioni cui il glomerulo caseoso va incontro.

Passato il momento e comunque laddove la presenza e l’esperienza umana è non solo necessaria, ma insostituibile, ben vengano in supporto gli ausili che standardizzano e razionalizzano il processo produttivo. Questi nel loro insieme contribuiscono al raggiungimento delle economie di scala e alla salvaguardia della salute degli operatori per il lavoro usurante che svolgono. Penso all’estrazione delle “gemelle” con il sollevatore ed al loro trasporto sui tavoli spersori, alla salatura per immersione e alla spazzolatura delle forme nel magazzino di stagionatura.

Inoltre è possibile, ma non garantito, prevedere un miglioramento della qualità del formaggio. Il beneficio del dubbio nasce dal fatto che il termine standardizzare (uniformare i processi produttivi), assume spesso e purtroppo nel linguaggio comune, il significato di raggiunta qualità organolettica, quasi fosse la standardizzazione, la strada maestra da percorrere per conquistarla. Viceversa l’ambito riconoscimento può essere alla portata anche di coloro che per dimensioni aziendali e volumi di latte lavorati, non riescono a uniformare i processi, ma sanno bene che per produrre e gustare la qualità, il controllo della filiera produttiva deve essere totale e nessun interrogativo lasciato alla sorte.

 

2 risposte a “Parmigiano Reggiano, tradizione e innovazione”

  1. Fernando è un ottimo oratore e assaggiatore, nonchè grande conoscitore della materia.
    Lo apprezzo e stimo moltissimo! Grazie a lui mi sono appassionato.
    Complimenti.

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