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… leggo con attenzione il decreto e mi imbatto nel comma 3 dell’art. 1 che genera in me qualche perplessità

di Fernando Marzillo

Il 19 Aprile  è entrato in vigore il decreto del 09 dicembre 2016 pubblicato sul nr. 15 della Gazzetta Ufficiale del 19/01/2017, recante “indicazione dell’origine in etichetta per il latte e i prodotti lattiero caseari

Tale decreto introdotto in via sperimentale e valevole sino al 31 Marzo 2019, si pone come obiettivo quello di portare maggior chiarezza ad un settore talvolta additato per essere normato da leggi poco trasparenti e chiare. Cavalcando l’onda mediatica la sua applicazione pare cogliere favorevolmente i consumatori che oggi sempre più mostrano curiosità ed interesse verso la provenienza dei cibi abitualmente consumati.

Nel caso specifico del decreto in oggetto, la chiarezza appare cristallina poiché all’art. 2 per latte e prodotti lattieri caseari va specificato oltre al paese di mungitura, anche il paese di condizionamento e di trasformazione riferendosi rispettivamente al paese ove avviene il trattamento termico del latte e il paese dove invece il latte viene trasformato. Si ritiene inoltre di sintetizzare “origine del latte Italia” qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, condizionato o trasformato nello stesso Paese.

Ugualmente non sorgono dubbi interpretativi sia quando nell’elenco dei prodotti lattei interessati dal decreto compaiono yogurt, Kefir, latti acidificati e le tipologie di latte a lunga conservazione, sia quando tra i prodotti lattiero caseari compaiono siero di latte, burro , panna, cagliate ecc.

Le disposizioni del decreto come si evince all’art.1 non si applicano al latte fresco per il quale è già prevista la tracciabilità, né ai prodotti D.O.P. , I.G.P. e biologici per i quali la provenienza del latte è definita dai rispettivi disciplinari di produzione

Per risolvere alcuni dubbi interpretativi circa le modalità del decreto entrato in vigore il 19 Aprile, il ministero dello sviluppo economico ha emanato il 24 Febbraio una circolare in cui si conferma che i prodotti lattiero caseari oggetto di applicazione sono quelli preimballati, escludendo perciò i prodotti venduti sfusi e i prodotti imballati nel luogo di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta. Inoltre essendo la norma nazionale, l’obbligo di indicazione dell’origine del latte non trova applicazione per il latte e i prodotti lattiero- caseari fabbricati all’estero.

Il provvedimento fortemente sostenuto dalle varie associazioni di categoria, rappresenta per la Coldiretti un importante segnale di cambiamento a livello nazionale e comunitario e risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani. Sulla stessa linea Confagricoltura che per bocca del suo presidente ritiene il provvedimento un banco di prova per dare ai nostri consumatori ulteriori elementi informativi per effettuare acquisti con consapevolezza. Non dello stesso parere Assolatte che individua invece alcune criticità: secondo l’associazione la norma è fuorviante perché può spingere i consumatori a diffidare dei prodotti lattiero-caseari realizzati con latte non italiano pur essendo gli standard di qualità e sicurezza garantiti a livello comunitario e miope perché fissando l’attenzione solo sulla provenienza del latte fa perdere di vista il fatto che non è solo l’origine che fa la qualità.

Curioso di approfondire la materia leggo con attenzione il decreto e mi imbatto nel comma 3 dell’art. 1 che genera in me qualche perplessità. Infatti tale comma cita che tutto quanto scritto ha valore, ma “ resta fermo il criterio di acquisizione dell’origine ai sensi della vigente normativa comunitaria europea”, la quale ci ricorda che “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi, è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale “ (Reg. U.E. nr. 1169/11 ).

Forse che per le paste filate e per la mozzarella in particolare, il decreto per così dire depotenziato nulla possa di fronte al regolamento comunitario di più elevato valore gerarchico? Nel caso specifico la trasformazione sostanziale va ricondotta unicamente al luogo dove avviene il semplice processo di filatura o al luogo dove avviene la coagulazione del latte ?

Mozzarelle peraltro già in passato al centro di aspre polemiche per il fatto che la giurisprudenza ha consentito di utilizzare cagliate ottenute con latte in polvere senza configurare il reato di frode in commercio.

Nella veste di semplice consumatore rimango confuso: l’invocata trasparenza (legittima per chi acquista , ma altrettanto per chi produce), rimane forse offuscata dalle diverse interpretazioni di lettura del decreto? E poi perché quel carattere di provvisorietà: forse per limitare i rischi di una sua contestazione da parte della Commissione europea?

 

 

 

 

 

 

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