Sei in > formaggio.it > News > Lisozima: conservante o coadiuvante tecnologico?

Di questa vicenda tecnica/burocratica alcuni contorni appaiono poco chiari

di Fernando Marzillo

L’antifermentativo, noto nel settore lattiero caseario per contrastare la presenza dei batteri butirrici, causa dei gonfiori tardivi nei formaggi, si trova al centro di una complessa disputa tecnica/burocratica.

Il declassamento a coadiuvante tecnologico recentemente operato dal Ministero della Salute con nota ufficiale del Maggio 2018, segue l’istanza presentata dal Consorzio del Grana Padano in merito alla richiesta di modifica della classificazione del lisozima da “additivo conservante” a “adiuvante/coadiuvante tecnologico” nel formaggio Grana Padano D.O.P. con un periodo di stagionatura maggiore o uguale a nove mesi.

Un aspetto che si traduce in una etichetta più “digeribile” per il consumatore, poiché la parola lisozima pur continuando ad essere citata nell’elenco degli ingredienti, non sarà più preceduta dall’inquietante appellativo di conservante. La notizia però non è passata inosservata a produttori e consumatori del Parmigiano Reggiano per primi a rimarcare la totale naturalità del loro prodotto, rispetto al cugino Grana Padano, che ad oggi utilizza ancora il lisozima nella veste di conservante o di coadiuvante che dir si voglia.

Infatti secondo il regolamento (CE)1333/2008 la linea di confine tra additivo e coadiuvante tecnologico, sta principalmente nell’individuare se la sostanza aggiunta volontariamente durante il processo tecnologico, continui a svolgere la sua attività anche nel prodotto finito.

Secondo il presidente del consorzio del Grana Padano Cesare Baldrighi, il lisozima è e rimane a tutti gli effetti un conservante quando usato in formaggi che ne consigliano l’utilizzo mentre nel Grana Padano D.O.P. non svolge la funzione di conservante e quindi non è un conservante bensì un è coadiuvante tecnologico”.

Viceversa il Consorzio del Parmigiano Reggiano attraverso la voce del suo presidente Bertinelli, sostiene che, “non esiste una sufficiente evidenza scientifica che giustifichi che nel Grana Padano sopra i nove mesi il lisozima non sia più un conservante” Per questo è ricorso al T.A.R.

Di pochi giorni infine la nota del ministero della Salute, secondo cui la fonte primaria dell’etichettatura dei prodotti, non è di propria competenza, bensì dell’Unione Europea che pertanto dovrà ulteriormente pronunciarsi.

Nell’attesa che il T.A.R. si esprima al riguardo, la domanda che mi pongo è: quali sono i riflessi pratici che tale contenzioso comporta?

Nulli per le aziende casearie interessate, perché il conservante pur sparendo dall’etichetta, rimane comunque presente nel formaggio; mentre il consumatore di oggi più attento e critico rispetto al passato, avrà la percezione di acquistare un prodotto più naturale.

Tuttavia l’impiego del lisozima in caseificio come conseguenza dei razionamenti alimentari basati sul consumo del mais insilato, può essere oggetto di polemica. Tale tecnica alimentare pur presentando aspetti positivi perché irrinunciabile sotto il profilo economico in un mercato globale che ragiona su grandi numeri, e perché in grado di garantire produzioni lattee dai profili sanitari corretti, da molti è additata di essere causa di un appiattimento delle caratteristiche organolettiche dei formaggi, facendo così rimpiangere  i più tradizionali razionamenti alimentari. A sostegno di tale tesi le pubblicazioni che garantiscono nel latte e prodotti derivati migliori performance aromatiche (per quantità di acidi grassi, terpeni ed esteri), nutrizionali (per Beta Carotene e vitamina E) e nutraceutiche ( per Omega 3 e Acido Linoleico Coniugato). Sotto questa luce è nato il Grana Padano della Montagna Piacentina e il Grana Padano dei Prati Stabili Polifiti in provincia di Mantova. che insieme al già noto Trentingrana hanno detto addio all’insilato di mais.

In secondo luogo, la presenza diretta del lisozima nel formaggio sebbene in quota globalmente molto bassa e priva di tossicità, si configura come potenziale allergenico nei consumatori sensibili all’alimento da cui il lisozima si estrae (proteine dell’uovo).

Di questa vicenda tecnica/burocratica, (in passato in grado di accendere sicure frizioni tra i contendenti, come quelle tra Peppone e Don Camillo nei racconti di Guareschi), alcuni contorni appaiono poco chiari: come ad esempio il suggerimento del Consorzio del Grana Padano a non enfatizzare l’assenza del conservante, limitandosi esclusivamente ad eliminarne la parola, e all’opposto, il motivo di una tardiva nonché morbida presa di posizione del Consorzio del Parmigiano Reggiano, nell’affrontare un tema così sentito e delicato.

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