Sei in > formaggio.it > News > Economy > L’Editoriale / Turismo e gastronomia, il caso Romagna: dalla “disco” alla Food Valley

Andato in crisi il modello festaiolo, ha puntato sul turismo enogastronomico. Ed è andata bene, tanto da diventare un esempio di marketing da seguire

di Giovanni Bertizzolo

E’ un caso che fa già scuola, quello della RomagnaUna volta preso atto che il modello basato su spiagge, discoteche e folle aveva fatto il suo tempo, e non potendo contare su opere e monumenti di richiamo, cosa hanno fatto gli illuminati operatori romagnoli per attrarre il turista? Hanno fatto gruppo e puntato le loro carte sull’enogastronomia. Vacanze sostenibili mangiando. Cercando di interessare gli stranieri amanti del buon vivere.

In crisi le forme classifiche di marketing turistico, dunque, l’alternativa, o meglio, la nuova frontiera, è rappresentata dal cibo. Così in Romagna, soprattutto nell’ultima stagione turistica, sono spuntate come funghi degustazioni, chef stellati, ristoranti biologici, presidi Slow Food, visite nelle cantine e nei caseifici. Così quella che era la meta scontata di famiglie e giovani si è trasformata nella Food Valley, come l’ha ribattezzata il quotidiano laRepubblica nell’inserto Affari&Finanza di lunedì scorso 
Gli addetti sono addirittura arrivati a coniare la definizione di “turista gourmand”, per far capire qual era l’obiettivo. Puntando sui prodotti tipici. In regione, infatti, sono ben 39 le Dop assegnate, 5 ai formaggi.

Così l’enogastronomia è riuscita in parte ad attenuare gli effetti della crisi. Ha funzionato, eccome. Secondo la Coldiretti, il 57% dei turisti parte dalla Romagna portando in valigia come souvenir un prodotto agroalimentare. Tutto questo non è però realizzabile se non c’è la collaborazione di tutti, se non si fa sinergia. A cominciare dalle istituzioni. In Romagna è andata bene perché tutti hanno remato nella stessa direzione. Con le strutture a fare da supporto nevralgico. Ad esempio, l’aeroporto Fellini di Rimini, controllato dagli enti locali, non ha mai smesso di funzionare, inaugurando una rotta dopo l’altra. Ecco come si produce marketing territoriale legandolo al food. L’esempio della Romagna è da seguire.

Anche contando sulla Rete. Se vogliamo rendere i formaggi italiani e i nostri caseifici mete fisse del turismo gastronomico, è infatti necessario puntare su internet come mezzo di comunicazione unico e fondamentale, capace di raggiungere molti.
Continuiamo a battere su questo tasto perché notiamo nel settore caseario ancora molte ritrosie. E ogni giorno ci scontriamo con realtà a dir poco sconcertanti. Nel Veneto, per dirne una, cioè in una delle regioni trainanti dell’economia nazionale, tra le imprese che operano nel Made in Italy, vale a dire moda, meccanica, cibo e mobili, il 21,6% (una su cinque) non ha ancora un sito internet. Nei social è presente solo un’azienda su cinque (dati Fondazione Nord est-UniCredit).

Ritrosie che non troviamo, ad esempio, nel mondo del vino di casa nostra. Che resta una traccia da seguire. Secondo l’agenzia “BeSharable”, le Pmi del vino che negli ultimi anni hanno utilizzato internet attivamente sono cresciute più in fretta, hanno raggiunto una clientela più internazionale e hanno assunto più persone.
Non c’è dubbio. E’ da qui che passa il futuro.

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