Sei in > formaggio.it > News > Economy > L’Editoriale / Luci e ombre di Expo 2015: un business, sì, ma per eletti…

Uno stand nel padiglione dell’eccellenza dell’agroalimentare italiano costa 110 mila euro per 3 mesi. Tagliati fuori i piccoli, produttori e consorzi

di Giovanni Bertizzolo

Expo 2015: tra scandali, tangenti, megapresentazioni, proclami e slogan mediatici che fanno molto clamore e fumo negli occhi è sulla strada giusta per diventare davvero l’esposizione universale capace di dipanare la mission che si è data, vale a dire “Nutrire il pianeta, energia per la vita”? E, per entrare nello specifico, sarà davvero un palcoscenico unico, che darà visibilità e lustro alle nostre aziende agroalimentari, proiettandole addirittura in una nuova dimensione internazionale, come viene promesso?

A quattro mesi dall’apertura, certezze e dubbi sull’Expo si alternano in una girandola di numeri da capogiro.
144 Paesi espositori, un record assoluto, 20 milioni di visitatori attesi, 12 milioni dall’Italia, 6 milioni dall’estero, rispettivamente 3 milioni dall’Europa e 3 milioni dagli altri continenti, 1 milione dai soli Stati Uniti d’America, 1 miliardo le risorse già investite, con 2.500 operai che lavorano tutti i giorni in cantiere e 1.000 imprese italiane impegnate. E dietro ai numeri?

Partiamo da quanto è stato annunciato. E da quanto tocca più da vicino il settore di appartenenza del formaggio italiano e di chi lo produce. Ci pare di capire che il punto nevralgico sarà “Cibus è Italia – Il padiglione Expo Federalimentare”, il padiglione (5.000 mq) collettivo corporate dell’industria alimentare italiana, allestito a Parma. Durante la presentazione al ministero delle Politiche agricole a Roma è stato lanciato l’obiettivo: presentare al mondo il nostro straordinario paesaggio produttivo, la storia, la tradizione, il saper fare e la bontà dei prodotti alimentari italiani. Il rapporto virtuoso tra le imprese, di qualsiasi dimensione, e i loro territori. Per 6 mesi i visitatori potranno fruire di un percorso di edutainment che li accompagnerà “dentro” i prodotti italiani più amati e conosciuti per conoscere la loro storia e i segreti della loro qualità. Duecento aziende chiave del settore, con i loro 1.000 marchi, si racconteranno. Sono attesi 2.000 operatori professionali da tutto il mondo, le cui visite sono già pianificate, da maggio a ottobre del 2015. Contemporaneamente, grazie alla regia di Ice e al know how di Cibus (la manifestazione fieristica dell’alimentare), migliaia di operatori internazionali potranno terminare il percorso sulla terrazza riservata al business matching, trattando con le aziende.

Tutto questo, è stato detto chiaramente, finalizzerà un progetto strategico che prevede di raddoppiare l’export agroalimentare del nostro Paese nei prossimi anni. Sì, avete letto bene: raddoppiare. Export che oggi vale 33 miliardi di euro.
Il ministro Maurizio Martina lancia baldanzosamente la sfida: “Porteremo all’attenzione di tutto il mondo la forza del Made in Italy e la sua unicità, così da conquistare ancora maggiori spazi all’estero, sfruttando l’enorme potenziale che abbiamo ancora da esprimere”.

Tutto bello, tutto fantastico, dunque? Forse. In realtà non mancano i paradossi e le penalizzazioni. A cominciare dal costo di uno stand. I prezzi imposti dall’Ente Fiera a produttori e consorzi sono a dir poco esorbitanti: uno stand costa circa 110 mila euro per 3 mesi. Per i consorzi 6 mesi significano un esborso di 600 mila euro. Chi se lo può permettere. Pochi, le aziende e i consorzi più grandi, quelle che hanno budget importanti. Che, difatti, ci saranno, faranno parte delle “200 aziende chiave”. Le altre no, giocoforza. Quindi le meravigliose opportunità prospettate in realtà saranno riservate a pochi. Usando un termine inflazionato, sarà presente sì l’eccellenza del Made in Italy. Ma quella economica, meno quella produttiva. Una scelta strategica voluta? Secondo noi sì. Si è voluto privilegiare il big, non il produttore che fa davvero un esclusivo Made in Italy.

Non va poi dimenticato che la mission dell’evento è il cibo, darlo a tutti, sfamare il mondo. Expo 2015 si è abbinato alla Cola Cola, che sarà uno dei grandi partner sostenitori (Official Soft Drink Partner), sborsando una montagna di soldi (7 milioni tra spazio, pubblicità e visibilità?). Il business, appunto. Expo 2015 sta andando in quella direzione. Diventare un affare, coprire i costi enormi, guadagnarci, magari. Poco importa se una manifestazione allestita con scopi sociali ed etici si appoggia a una multinazionale che propone, diciamo, prodotti discutibili e discussi, anche se fa di tutto per dimostrare il contrario.
Leggiamo sul sito dell’Expo 2015: “Il  brand Coca Cola è stato scelto in virtù del suo impegno sul fronte dell’innovazione e della crescita sostenibile, capace di generare ricchezza per le comunità, tutelando le risorse utilizzate e incoraggiando consumi stili di vita equilibrati”.
Il buongiorno si vede dal mattino, appunto…

 

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