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Mentre le stalle chiudono, nel Trevigiano 300 giovani conseguono il diploma di casaro. E’ un settore vitale, da aiutare, che chiede risposte

di Giovanni Bertizzolo

Due lati di una stessa medaglia. Nel settore del latte l’Italia ha perduto il 40% di posti di lavoro in trent’anni. Dall’inizio della recessione è stata chiusa una stalla italiana su cinque, con la perdita di 32mila posti di lavoro e il rischio concreto della scomparsa del latte italiano e di prestigiosi formaggi made in Italy, con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale.
In Italia le 36.000 stalle sopravvissute hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente: per ogni milione di quintale di latte importato in più – denuncia la Coldiretti – scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura.

Due lati di una stessa medaglia.  In soli due anni di attività, i corsi dell’Accademia dell’Arte Casearia, nella sede della Latteria Perenzin a Bagnolo (Treviso), hanno visto 300 giovani conseguire il diploma di casaro sotto la guida del mastro casaro Carlo Piccoli. Il loro identikit?  Italiani e internazionali, età media 30-45 anni, titolo di studio scuola media superiore o laurea.

Due facce di una stessa medaglia, appunto. Un settore dal grande potenziale inespresso. Una filiera che non dovrebbe conoscere la parola crisi. Dove la voglia di fare non manca. Sul quale bisogna investire. Lo ribadiscono anche  i tanti tavoli operativi imbastiti per far fronte al dopo quote-latte.
Cosa fare lo ha spiegato molto bene lo stesso Piccoli, il quale ha portato la propria esperienza trentennale nel settore nelle aule del Senato, durante un incontro con la Commissione Agricoltura.
A Roma Piccoli ha posto l’accento sull’importanza di investire nella ricerca e nella formazione di imprenditori agricoli, sempre più sensibili alla salvaguardia ambientale.

Le imprese agricole italiane (161 mila) guidate da “under 40” sembrano maggiormente preparate a questo salto di qualità: secondo i dati di Agia- Cia, anche con la crisi il 40% dei giovani imprenditori agricoli cerca di espandere la sua attività, il 78% punta al miglioramento dei prodotti e l’80% cerca nuovi canali commerciali (vendita diretta). Inoltre, anche per motivi anagrafici, i giovani agricoltori hanno più dimestichezza dei colleghi anziani sia con le lingue, sia con il web. Molti usano la rete e i social media per promuovere i propri prodotti e allargare la clientela, anche sui mercati stranieri, alcuni si inoltrano nell’e-commerce.

L’Expo 2015 dovrebbe essere uno strumento da impiegare anche in questa direzione. Se ne parla molto. Ma finora restiamo nell’ambito della parole…

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