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Il passato era quello di Susanna tutta panna, oggi di light, leggerezza, benessere e digeribilità

di Fernando Marzillo

Nello spazio temporale di cinquant’ anni o poco più, le scelte alimentari dei consumatori, si sono radicalmente evolute. Anche i prodotti lattiero caseari hanno risentito di questo andamento. Scopo dello scritto è raffrontare le pubblicità del passato con quelle attuali, per valutare l’evoluzione degli acquisti in funzione del livello di benessere raggiunto.

Gli anni del miracolo economico e ancora quelli del successivo decennio, sono passati alla storia anche per (diremmo oggi) i tormentoni pubblicitari che li hanno accompagnati e le cui melodie risuonano ancora nell’aria. Erano gli anni di Susanna tutta panna, della mucca Carolina e del suo tormentone Tolon tolon tolon tolon… eh …hop. Il formaggio destinatario di tanto interesse musicale era l’ Invernizzina, che nello spot televisivo veniva definito ottimo perché “fresco, burroso e a doppia panna” come si è soliti definire ancora i formaggi arricchiti di materia grassa. Memorabili poi le scritte del “ burro milione che friggendo profuma la cucina”.

Degli alimenti in definitiva si esaltavano e si valorizzavano le caratteristiche dei loro costituenti.

Oggi potremmo rimanere stupiti da siffatti messaggi, eppure analizzati con gli occhi del passato, essi erano assolutamente in sintonia col tempo che fu perché si rivolgevano a consumatori affamati e desiderosi di dimenticare in fretta i forzati digiuni che la guerra aveva lasciato loro in eredità. Ecco giustificato l’arrivo delle Frisone, vere e proprie macchine da latte che in poco tempo soppianteranno le nostre razze autoctone meno produttive.

Ai giorni nostri invece il raggiunto benessere, le mutate esigenze alimentari imposte da stili di vita differenti, in primis la diffusa sedentarietà, hanno dato il “la” a messaggi pubblicitari che all’opposto mirano a promuovere il cibo non tanto per i suoi costituenti, quanto per la loro ridotta presenza, giungendo al paradosso consumistico che alle volte li vede premiati nelle vendite non per quello che contengono, ma per quello che è stato loro tolto.

Focalizzando l’interesse a latte e derivati, gli elementi di novità che ne personalizzano il marketing, sono rappresentati dalle voci light, leggerezza, benessere e digeribilità, che rimandano all’unisono all’assenza di lattosio, alla riduzione dei grassi e del colesterolo. Il decremento di questi ultimi pesa tuttavia parecchio in termini di gusto e senso di sazietà, mentre gli ipotetici benefici non sono sempre così palesi: ad esempio la tazza di latte parzialmente scremato da 200 ml fa “risparmiare” a colazione solo 30 kcal, e pochi mg di colesterolo, che tradotti rappresentano appena 1-2 punti percentuali sui relativi fabbisogni giornalieri.

Parole e percentuali che rimarcano le riduzioni caloriche, riscontrano in generale l’apprezzamento nei consumatori sensibili che diventano in questo modo fautori nel creare valore aggiunto al prodotto. Grassi e colesterolo ritenuti impropriamente non necessari vengono evitati, alle volte però solo apparentemente, perché immagini, colori e parole che richiamano alla leggerezza, non trovano sempre l’atteso riscontro nell’elenco degli ingredienti. Ciò si verifica prevalentemente nei formaggi freschi, spalmabili e ricotte, nelle quali è invalso l’uso di aggiungere panna per migliorarne gli aspetti sensoriali.

Riguardo al lattosio, la cui presenza è riconducibile unicamente al latte e derivati freschi, molti consumatori si dichiarano aprioristicamente intolleranti. Così, per scacciare eccessive paure, o bandiscono completamente l’acquisto dei prodotti caseari, oppure si rifugiano in quelli delattosati, più costosi e probabilmente non sempre necessari. Infatti il parere scientifico dell’EFSA riguardante le soglie di intolleranza al lattosio, ci riporta che la grande maggioranza dei soggetti intolleranti è in grado di sopportare fino a 12 grammi di lattosio come dose singola (corrispondenti alla quantità presente nella medesima tazza di cui sopra), senza avvertire sintomi o con sintomatologia di poco conto.

In sostanza: nel corso dei passati decenni, la forza del messaggio pubblicitario ha contribuito al raggiungimento dell’agognato benessere alimentare puntando (giustamente) sulle proprietà intrinseche degli alimenti. Oggi a benessere raggiunto, la pubblicità si è adattata (altrettanto giustamente) alle richieste opposte del consumatore che tante volte arbitrariamente meglio sta se meno ha. Il contrasto pubblicitario tra il periodo passato e quello attuale, va interpretato come un segno di cambiamento tra due mondi storicamente vicini, ma culturalmente distanti: al consumatore di oggi la maturità di filtrare i messaggi e farli propri. Come? Familiarizzando con l’elenco degli ingredienti, usando buon senso e affinando il pensiero critico. Sono queste le strade maestre che permettono di accostarci al desco per mangiare con piacere e rendere piacevole il mangiare. Edotti possiamo nutrirci anche di pubblicità sicuri di governarla e perciò pure divertente.

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