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Premio speciale “Daniele Bertossi” a Francesco Linzalone di Matera, “per la capacità di avere attinto ai propri ricordi e di avere elaborato un racconto di cui la ricetta fa parte integrante

In occasione della XX edizione della manifestazione “Gemona, formaggio e dintorni” in programma dall’8 al 10 novembre 2019, l’Ecomuseo delle Acque e il Comune di Gemona del Friuli, con la collaborazione della rivista q.b. quantobasta e il patrocinio di Pro Glemona e Slow Food – Condotta “Gianni Cosetti”, hanno promosso il concorso “Raccontate il vostro formaggio del cuore”. Il Premio speciale “Daniele Bertossi” è stato assegnato a Francesco Linzalone di Matera, che ha scritto il seguente racconto dal titolo Le cicorielle sedute.

Una ricetta mi viene alla mente tra quelle abbandonate e trascurate: le “cirorielle azzise”.

“Azzise”, qui vuol dire sedute, accomodate. Come ci si rivolge agli ospiti invitandoli ad accomodarsi: “Azzidityv”. Ma non basta farli accomodare. Perché l’incontro sia piacevole c’è bisogno di chiacchiere e cortesia, così per i cibi “seduti” c’è bisogno del giusto abbinamento e di cura.

Le “cicorielle azzise” sono una ricetta semplice e classica della tradizione gastronomica materana, tra Basilicata e Puglia barese, purtroppo in abbandono. Per trovare notizie ed esecutore di questa ricetta decido di NON rivolgermi ad uno chef o gastronomo, o sedicente tale. Spesso barano, spacciano per cicoriella la cicoria brindisina o la catalogna, o altre verdure. Tanto il turista non capisce. Invece solo le cicorielle hanno il caratteristico gusto amarognolo ed erbaceo. Ho bisogno di trovare un’interprete autentica. Ce l’ho: mia madre. 92 anni a dicembre. Con la verdura vado a trovarla. E’ nella consueta posa: in cucina, seduta, coltello, grembiule dei nipoti, strofinaccio sulle gambe, secchio della spazzatura e… tivù accesa. Vanno pulite singolarmente prima di lavarle. Le particelle di terreno sono fastidiose e sempre in agguato; ci vuole pazienza e cura.

La ricetta prevede la cottura coperta della verdura condita solo con una generosa spolverata di formaggio in superficie e un bagno di brodo di carne. Il calore della cottura coperta fa fondere il formaggio che si sposa con la verdura.

Mi concentro sul formaggio che non può non essere che locale, di questa terra. Un pecorino, senza dubbio.

Il mio pensiero va ad un ricordo infantile.

Una sera ero a casa di mia nonna e vidi mia zia Titina tirar fuori una candela, uno straccio, una bottiglietta d’olio, una spazzola a setole grosse e una grossa chiave di ferro. Mi chiese se volevo unirmi a mio zio Nicola. Chiesi per dove e per cosa. La risposta fu: “al casolare”, “u’ Quasyler”. La risposta non mi chiarì molto, ma timidamente curioso mi unii a quel parente. Quella sera mio zio mi sembrava uno sciamano, un misterioso sacerdote.

Arrivati, entrai in una grotta scavata nella quale feci due passi e, chiusa la porta alle mie spalle, già avvertii l’odore intenso per il quale mi sembrava di essere con il naso infilato in un tappeto erboso di sfagno e funghi.

Pian piano mi si rivelò anche l’origine dell’odore. Sulla destra si apriva una camera sulle cui pareti erano sistemate mensole di tavola su cui erano poggiate file allineate di forme di formaggio che riconoscevo perché viste in campagna da Biagio il massaro.

Sono tornato altre volte al casolare, ma la prima mi è rimasta nelle narici e da qui nella memoria. Ci ritornavo con piacere e senza parole quell’uomo silenzioso mi aveva trasmesso qualcosa: i profumi, quei profumi.

Ora però voglio assolutamente trovare un pecorino che mi procuri le stesse emozioni. I ricordi olfattivi mi hanno segnato.

A pochi chilometri da Matera c’è un giovane allevatore che si è dato alla produzione di pecorino vecchia maniera. Il CANESTRATO. Sotto lo “jazzo” ha recuperato una grotta naturale che usa per la stagionatura. Me ne cede una pezza intera. Torno a casa fiducioso.

Ritorno dalla cuoca di famiglia e seguo le fasi di esecuzione della ricetta. Sul piano cottura intanto vedo anche una pentola da cui sbuffa vapore e un buon odore di brodo di carne.

Le cicorielle sono ormai cotte.

Ansioso taglio a metà la pezza di formaggio con il lungo coltello. E’come aprire una scatola di profumi che non vedevano l’ora di uscire, chiusi e compressi per anni. Una lampada di Aladino degli odori. Il colore giallo lucido, brillante. Raccolgo subito una scaglia caduta. La mastico e scoppiano i sapori. Uno sguardo di intesa e approvazione con mia madre e passo alla grattugia. La collinetta di formaggio può essere usata.

“Sedute” le cicorielle nella pentola vengono ricoperte da una coltre di pecorino grattugiato. Quindi il mestolo travasa il brodo sulla verdura che viene passata al forno. Alcuni minuti a pentola coperta e il formaggio assume un’altra identità senza perdere i suoi profumi e sapori. Nel piatto la forchetta tira su un ciuffo di verdura gocciolante che ha perso parte dell’amaro e si è arricchita della dolcezza del brodo e degli afrori pungenti del pecorino. E’ sicuramente un matrimonio a tre in cui ognuno ha un suo ruolo irrinunciabile, insostituibile. Ma se devo trovare un elemento comune ritorno ai miei ricordi. La grotta del casolare con i suoi profumi e, soprattutto… il pascolo con i suoi profumi. E’ come se il pascolo apparentemente brullo e povero nascondesse invece elementi preziosi della natura: i profumi. Verdura e formaggio sposati in un sodalizio perfetto di due cibi apparentemente con profili diversi ma che trovano nel pascolo la loro origine comune. L’uomo forse sta dimenticando che ha bisogno non solo di comodità ma anche di semplici preziosità che solo la natura può regalargli. Viva il pascolo, viva i pastori.

Matera 20 settembre 2019

Francesco Linzalone

 

Nell’immagine: a destra Francesco Linzalone

Una replica a “Le cicorielle sedute”

  1. Racconto tenero e nostalgico, interessante e semplice nel suo insieme la ricetta che invoglia ad rifarla con la curiosità di assaggiare quei ricchi sapori così ben descritti. La materia prima sarà forse il problema…proverò con “succedanei” ma come ho capito non sarà la stessa cosa

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