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Può il coronavirus ridurre il numero delle persone intolleranti al lattosio?

di Fernando Marzillo

A giudicare dalle quantità di latte, latticini e formaggi che abbondano nei carrelli dei consumatori in fila alle casse, spesso più preoccupati dalla forma che dalla sostanza di ciò che acquistano, mi sembra di poter rispondere in maniera affermativa alla domanda. Generalizzando si può sostenere che i prodotti dalle specifiche caratteristiche, ovvero quelli “senza qualcosa” sono meno richiesti. Con un rammarico però.

Era necessaria una pandemia per aprire gli occhi e la mente di chi fino a ieri aveva considerato il lattosio un composto pericoloso per la salute così da confinare nell’oblio non solo i prodotti che per loro natura lo contengono, ma anche quelli che naturalmente ne sono privi? Lungi da me l’idea di scalfire la buona fede di chi purtroppo deve convivere per davvero con questa fastidiosa intolleranza. Ma lasciarsi troppo facilmente abbindolare dai messaggi pubblicitari “lactose free”, mode dilaganti e testimonianze emotive, conduce unicamente a fare spese più costose ed a consumare alimenti dai gusti in alcuni casi artefatti come ad esempio il latte delattosato, il cui sapore risulta più dolce. Ultimo, ma non per importanza, la valutazione dell’aspetto metabolico. Prevenire è sempre meglio che curare, ma in questo caso la prevenzione del potenziale intollerante, che si priva dei cibi come natura crea e agisce più per sentimento e convinzione personale, non sortisce in lui effetto alcuno, se non forse quello contrario. Questo perché l’enzima beta galattosidasi, necessario alla digestione del lattosio e presente regolarmente nell’intestino in condizioni normali, se viene privato dello zucchero a lui si caro, in poco tempo tende ad estinguersi causando così l’intolleranza. Per recuperare la funzionalità digestiva perduta, fortuna vuole che la natura possa riservare una exit strategy che semplicemente prevede una reintegrazione dei prodotti contenenti il lattosio, seppur in modo graduale nel tempo e nelle quantità.

Lo stesso discorso si può estendere ai cibi senza glutine i quali se non realmente necessari, possono a ragione della maggior presenza di grassi, addensanti etc, consegnarci altri tipi di problemi.

Ciò detto, il rimpianto per le mancate consumazioni al bar di caffè, cappuccini e brioche, figlio delle doverose limitazioni agli spostamenti emanate dalle autorità nazionali, ci offre l’occasione per rivalutare la classica prima colazione italiana costituita da quella triade alimentare in cui latte, yogurt e burro primeggiano, e volentieri si accompagnano a marmellate pane e cereali. Inoltre contrariamente a quello che si potrebbe supporre, le recenti linee guida per una sana alimentazione redatte nel 2018 dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), suggeriscono consumi giornalieri di latte e yogurt fino a tre porzioni a piacere combinate, ciascuna delle quali stimata nella quantità di 125 grammi. Ottima notizia per i refrattari al consumo dei prodotti lattiero caseari.

A supportare la tesi, la migliore testimonianza è quella delle persone dalle tantissime primavere inanellate, la cui cena è rappresentata unicamente da una zuppa di latte e pane raffermo. Proteine nobili, equilibrato apporto lipidico, vitamine, sali minerali e lattosio!

 

 

 

 

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