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Un marchio da adottare dove il formaggio è sinonimo di storia, vita, eccellenza

 

di Michele Grassi

È una domanda interessante e quella posta da Giuliano Menegazzi che qualche giorno fa mi scrive «perché in Italia non esistono “Città del Formaggio?” Ci sono le città del vino, del pesto, dell’olio… ma del formaggio non mi risulta. Mi sa essere utile in questo strano dubbio che mi assilla?»

Credo che il punto della situazione lo si possa fare con un ragionamento a campo aperto e certamente non del tutto esauriente. Per rispondere è necessario capire che il consumatore italiano conosce molto poco il formaggio. Ciò è dimostrato anche dal fatto che spesso mi viene posta un’altra domanda significativa, cosa ci sarà mai da dire sul formaggio? La mia risposta è sempre lapidaria perché occorrerebbero tempi illimitati per affrontare seriamente le tante tematiche relative al mondo del formaggio.

Il formaggio è il prodotto dell’agro-alimentare più richiesto e di conseguenza più utilizzato, ma nonostante ciò il consumatore non ne è incuriosito. Quando si acquista il formaggio, lo si fa meccanicamente senza considerare gli aspetti più importanti di questo straordinario prodotto, ovvero la sua storia, la sua provenienza, la sua tecnica di produzione e soprattutto le sue caratteristiche organolettiche e salutistiche.

Acquistare formaggio è oggi un’azione banale, abitudinaria, perché viene considerato un alimento come tanti altri, confezionati e conservati in vaschette sigillate oppure sotto vuoto – e questo modo di commercializzarlo lo banalizza. Diversamente dal vino, bevanda molto apprezzata ma anche molto conosciuta, sotto tutti gli aspetti, il formaggio non è ancora considerato come alimento da degustare che può concedere emozione e di conseguenza la sua “visibilità” è molto molto scarsa.

Nonostante l’impegno delle poche organizzazioni che si occupano di prodotti del territorio come Onaf (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi) e Slow Food, e nonostante il loro capillare lavoro sul territorio italiano, non risulta raggiunta la giusta valorizzazione di quest’alimento.

Mi capita spesso di guidare degustazioni organizzate da associazioni, enti o aziende, che mettono a disposizione spazi per questo tipo di eventi e, quasi sempre tali spazi non sono consoni neppure per spuntini o pici-nic. Altresì, quandol’oggetto della degustazione è il vino, gli ambienti sono sempre i più importanti e capaci di rendere al meglio la degustazione, l’assaggio. In Italia non si arriva neppure lontanamente al pensiero che il proprio paese o la città possano essere significativi per la presenza di caseifici, pastori che riconducono in modo logico al formaggio. Non sono sufficienti i presupposti tanto importanti come una tradizione casearia presente e intensa.

È anche vero che la maggior parte degli operatori della trasformazione non comprendono l’importanza di un “marchio” sia esso di denominazione ufficiale europea, sia di semplice riconoscimento locale come può essere una d.o.c. (denominazione di origine comunale), poco conosciuta tanto da non essere utilizzata, ma tanto importante per il significato di appartenenza al territorio e alla storia umana.

La denominazione di città del formaggio è un riconoscimento immediato di ciò che avviene nel territorio comunale relativamente alle produzioni agricole, è un biglietto da visita importante che mette su un piedistallo il paese o la città in cui le caratteristiche produttive sono parte integrante di un’economia, di cultura e turismo. È uno stretto legame fra il territorio e gli abitanti, tra la vita quotidiana e l’agroalimentare, tra la tradizione e la storia.

La semplice apposizione della dicitura Città del formaggio, all’ingresso del territorio comunale, si ripercuote su un riconoscimento immediato e mediatico del luogo a cui si certifica che il territorio è vocato alla produzione di formaggio. Basti pensare ad alcuni luoghi in Italia, come Alba per associare a questa città il tartufo, oppure a Bronte il pistacchio o a Norcia i salumi e i norcini. Pensate, e mi rivolgo soprattutto agli amministratori locali, quanto sia importante che il territorio sia riconosciuto per un prodotto dell’agricoltura come il formaggio. Se si parla di anguilla, è immediata l’associazione con Comacchio, che diventa simbiosi d’importanza nazionale.

La città del formaggio determina curiosità, principale attrice della conoscenza, e diventa premio per i produttori, sia essi pastori che grandi caseifici, che del loro lavoro ne fanno uno stile faticoso di vita.

In alcuni luoghi, in particolare dove vi è produzione di formaggi Dop, sono installati cartelli che menzionano il formaggio della produzione locale, ma non è sufficiente. Pensate a quale rete potrebbe nascere tra i paesi e le città del formaggio, un reticolo fittissimo, tanto che le poche vie del formaggio ora esistenti, soprattutto nei territori montani, potrebbero diventare le strade del formaggio, la rete del formaggio. Un collegamento geografico tematico importantissimo per il commercio, per il turismo. Un percorso gastronomico, curioso, che consentirebbe di considerare il territorio nazionale come l’Italia del formaggio. A tutto diritto.

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