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Si amplia l’offerta commerciale di latte alimentare

 

di: Fernando Marzillo

L’elemento di novità non interessa il trattamento termico di risanamento, l’asportazione del grasso o le trasformazioni chimiche del lattosio nei più digeribili monosaccaridi che lo compongono. L’intento in questo caso è quello di una rivisitazione delle più naturali pratiche di produzione lattiera: in origine era latte e fieno.

I razionamenti per vacche che producono latte alimentare, prevedono quasi ovunque la somministrazione degli alimenti attraverso la tecnica unifeed, ovvero del piatto unico, in cui tutti gli alimenti (in primis il mais ceroso insilato) vengono accuratamente miscelati e distribuiti in corsia. Tale tecnica alimentare diffusasi in Italia a partire dagli anni sessanta, si è rapidamente estesa negli allevamenti. Il mais ha assunto il ruolo di alimento energetico e al contempo economico, mentre la distribuzione dei medesimi nel corso della lattazione garantisce una stabilizzazione del pH (acidità) ruminale, condizione necessaria per favorire un maggior consumo di sostanza secca che conduce ad incrementi produttivi di latte riducendone pertanto il suo costo.

Gli animali, si sono adattati a queste formulazioni alimentari appetibili e digeribili, ma a sfavore hanno dovuto subire la monotonia quotidiana che il consumo degli stessi alimenti comporta, nonchè la costrizione di non poter scartare quelli meno graditi.

Il rovescio della medaglia sta però (e nemmeno tanto nascosto), nell’elevato impatto ambientale che la coltura del mais porta in dote. Alle criticità per i notevoli fabbisogni idrici e per gli elevati livelli di concimazioni necessari, si sommano quelli che la monosuccessione comporta in termini di rischi di danni fungini (uno su tutti la contaminazione con micotossine), e inquinamento delle falde acquifere conseguente all’elevato impiego dei diserbanti (difficile dimenticare in un passato ancora troppo recente, i problemi legati all’utilizzo dell’ erbicida Atrazina). In ultimo non vanno dimenticate (nel caso la destinazione del latte sia legata alla produzione di formaggi), le problematiche di natura microbiologica per la presenza nel latte dei temutissimi batteri butirrici acerrimi nemici dei casari.

In quest’ottica, negli ultimi anni è maturata la consapevolezza che si potesse offrire ai consumatori un prodotto diverso: più rispettoso dell’ambiente e della salute dell’animale.

A seguito della domanda presentata per prima dall’azienda austriaca ARGE, nel 2016 l’Unione Europea ha riconosciuto la S.T.G. (Specialità Tradizionale Garantita), per il prodotto heumilch in Austria, ovvero latte fieno in Italia e haymilk in Gran Bretagna. In Italia la cooperativa altoatesina Mila, la Latteria Merano e Latte Trento, sono pionieri nel promuovere un prodotto destinato a consumatori esigenti: più tradizionale e per questo innovativo.

Ma quali sono i vincoli normativi che tale riconoscimento impone e qual è il significato del marchio? Il marchio S.T.G. a differenza dei più noti D.O.P e I.G.P. nasce per tutelare le produzioni con caratteristiche di specificità (cioè differenti da altri prodotti simili) e di tradizionalità (esistenti da almeno 30 anni), ma non pone limiti per ciò che concerne la zona di produzione che può così avvenire in tutti i paesi dell’Unione Europea. Una “ricetta”, che in Italia è esclusiva di soli 3 prodotti alimentari: la mozzarella S.T.G.; la pizza margherita S.T.G. e da oggi il latte fieno S.T.G.

La differenza fondamentale tra latte e latte da fieno e il tratto distintivo tradizionale di quest’ultimo, consiste nel fatto che, analogamente all’originaria produzione lattiera del passato, agli animali, non vengono somministrati alimenti fermentati come i foraggi insilati, ma anche i sottoprodotti della fabbricazione della birra, della distillazione degli alcoli e della fabbricazione del sidro. L’alimentazione segue il ritmo più naturale delle stagioni: durante il periodo estivo, gli animali si nutrono di foraggio fresco, fiori di campo, erbe aromatiche di diversa natura, in parte fieno più un’aggiunta di mangimi autorizzati, viceversa nel periodo invernale, l’assenza del verde comporta razionamenti a base di fieno integrati con i mangimi consentiti. Vietato pure l’impiego di mangimi di origine animale (farine animali) e di quelli geneticamente modificati. Infine, nella razione giornaliera, almeno il 75% della sostanza secca deve provenire da foraggi/affienati: l’obiettivo è quello di ridurre la quota di mangime (che negli allevamenti raggiunge facilmente il 50%) a favore dei foraggi freschi ed affienati.

Tale rapporto, favorevole per gli alimenti più “cari” ai ruminanti, vuole riportare alla sua natura erbivora la vacca che pare esprimere riconoscenza attraverso produzioni di latte di elevata qualità e con profili funzionali superiori ai latti tradizionali per tenore degli acidi grassi omega 3 e dell’acido linoleico che risultano in percentuale doppi rispetto al latte da insilato. Proprietà nutraceutiche importanti che si traferiscono ugualmente nei derivati: così anche lo yogurt prodotto con tale materia prima, si affaccia insieme al latte negli scaffali a loro dedicati.

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