Sei in > formaggio.it > News > Il gusto del cibo tra emozioni, relazioni e nutrimento

Il gusto viene definito dal dizionario italiano uno dei cinque sensi corporei

di Fernando Marzillo

Attraverso le papille gustative presenti sul dorso della lingua, riconosciamo il sapore di ciò che mettiamo in bocca.

Per cibo invece, intendiamo genericamente tutto ciò che mangiamo, e in senso più ristretto, l’insieme degli alimenti che assumiamo durante il pasto.

Dal gusto, ovvero dal piacere sensuale che l’ingestione del cibo comporta, emergono considerazioni che abbracciano anzitutto la sfera individuale ed emotiva della persona.

Vedere, toccare, annusare e masticare, sono certamente azioni banali, istintive e primarie, ma non vanno unicamente interpretate nella logica della sola sopravvivenza alimentare. Sopravvivenza che si compie grazie a cieli e generose terre nelle mani dell’uomo, che produce, trasforma e cucina delizie per il palato ricche di energia necessaria per farci cogliere ogni giorno una nuova alba.

Certo, la fame risponde oggi come in passato ad un individuale istinto di sopravvivenza, ma mentre un tempo era l’animalesco ingurgitare a placarne i morsi, oggi, nella fretta che accompagna il nostro tempo, la sazietà si controlla elegantemente nelle veloci pause pranzo, oppure tra alcol, stuzzichini e salatini, protagonisti di aperitivi e apericene, che per la loro azione eccitante tendono però più a favorire la socializzazione, che ad aprire la via ad un lauto pranzo.

Nel cibo tuttavia, bisogna saper cogliere anche le emozioni sensoriali, che positive o negative, non sono mai fini a se stesse. Pensiamo ad esempio alla semplice percezione del sapore amaro, che istintivamente ci conduce a discernere se rifiutare il cibo perché ritenuto pericoloso, e quindi intelligentemente da rigettare (così ci insegna la natura), oppure accettarlo in quanto commestibile e da molti piacevolmente gustato.

E’ il caso di chi beve l’amaro come digestivo e il caffè tal quale, chi preferisce i radicchi e la cicoria all’insalata, e chi si fa conquistare dal Graukӓse della valle Aurina o dal Panerone di Lodi: tipici e forse unici formaggi dai connotati così originali.

Queste vicende ci confermano che la relazione tra cibo e gusto è certamente un piacere personale che va accettata, rispettata, volendo guidata ed educata (de gustibus non disputandum est); ma è anche molto altro. E’ qualcosa che dalla sfera personale, si proietta in una dimensione comunitaria perché in grado di generare rapporti e relazioni con le persone.

Tutti ne abbiamo fatto esperienza: ne sono certo!

Pensate alle informazioni che desideriamo conoscere prima di acquistare un alimento. Quali caratteristiche e proprietà possiede, quali i modi di consumarlo. Quanti e quali siano gli ingredienti contenuti, ma anche di quanti (e forse troppi) sia privo, giungendo talvolta al paradosso alimentare che ci porta a preferire un cibo (indipendentemente dal nostro stato di salute) più per quello di cui è stato privato (lattosio, zuccheri, glutine, proteine dell’uovo, grassi), che per le sue naturali qualità.

Se però nel cibo riconosciamo davvero la forza di riunire in maniera intima i commensali intorno ad un tavolo, di aggregare consumatori e massaie nei mercati paesani, di richiamare le folle in occasione di sagre, fiere ed in generale eventi comunitari, non sarà solo perché nel cibo riconosciamo la forza di garantire la sopravvivenza umana. Dobbiamo invece prendere atto che negli alimenti individuiamo anche il deposito di valori culturali profondi che si chiamano lavoro, ricerca, passione e genialità insieme ai naturali errori umani. E ancora: conoscenza del territorio e confronto generazionale. Il tutto in un impasto ben amalgamato comprensivo di storia e religione.

In ragione di ciò, il cibo non potrà più essere semplicemente considerato la somma di pochi o tanti ingredienti e qualche allergene, ma ingrediente di socialità per una vita più condivisiva e sapida.

Avere la consapevolezza di “viaggiare” con un compagno che nutre fisico e mente, è segno che la relazione con il cibo è matura perché allo stesso tempo individuale e collettiva, nutriente ed emozionante.

In questo senso però, mi domando la ragione per la quale non tutti gli alimenti godano di pari dignità, tanto che alcuni vengono ancora trattati come fossero di serie inferiore. E qui mi riferisco al formaggio.

Vediamo ancora troppe volte servirlo inspiegabilmente a fine pasto quando cioè la sazietà raggiunta avrà il sopravvento sull’appetito, oppure inforchettarlo con una fredda posata per rinnegare quel gesto considerato erroneamente “villano” eppur spontaneo del mangiarlo con le mani: un atto che permette di avere un rapporto diretto ed immediato con il formaggio per apprezzarne tante e non solo tattili caratteristiche, ed in fondo farci tornare anche bambini quando sognavamo di leccarci le dita con il formaggino della mucca Carolina.

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