Sei in > formaggio.it > News > Grazie per l’invenzione professor Notari

L’impiego delle colture lattiche naturali, siano esse ottenute dal siero o dal latte, rappresenta non solo una pratica auspicabile, ma ineludibile.

di Fernando Marzillo

Se in Louis Pasteur riconosciamo il fondatore della moderna microbiologia e l’inventore della pastorizzazione, processo ancor oggi applicato al latte per garantirne la conservazione, altrettanta notarietà va riservata all’italiano Giuseppe Notari per il contributo profuso alla scienza casearia sul finire del XIX secolo.

Al giovane modenese infatti, prima garzone poi casaro e tecnico, attribuiamo il merito per aver messo a punto una tecnica tesa a migliorare la qualità del Parmigiano Reggiano in un epoca in cui i suoi difetti raggiungevano anche il 50% dell’intera produzione. La semplice aggiunta al latte di inizio  lavorazione, di una prefissata quantità di siero innesto autoprodotto, lo arricchiva di batteri filo caseari capaci di contrastare le fermentazioni “selvagge” butirriche, acido-miste ed alcoliche tipiche di un latte microbiologicamente inquinato come normalmente era quello del passato.

Siero innesto: una parola che può dare adito a molteplici intendimenti, ma che in caseificio si coniuga esclusivamente con una coltura naturale di batteri lattici termofili, ottenuta per acidificazione spontanea del siero cotto della lavorazione del giorno precedente e che giorno dopo giorno si perpetua.

Sostanzialmente i batteri lattici presenti nel siero dolce di fine lavorazione, trovano nella sua composizione (lattosio) e nelle temperature ottimali, un substrato perfetto per nutrirsi (trasformando il lattosio in acido lattico) e per riprodursi esponenzialmente, raggiungendo nel corso di quasi 24 ore valori nell’ordine di 1-2 miliardi/ml.

Il siero acidificato ricco di batteri lattici, è così divenuto l’elemento più naturale da aggiungere al latte per migliorarne l’attitudine casearia.

La tecnica diffusasi molto rapidamente nei caseifici del comprensorio, contribuì al miglioramento delle caratteristiche gustative del formaggio e della sua qualità mercantile.

Oggi, l’impiego delle colture lattiche selezionate naturalmente in caseificio, siano esse ottenute dal siero (siero-innesto), o dal latte (latto-innesto), rappresenta non solo una pratica auspicabile, ma ineludibile per tanti formaggi D.O.P.

In tali colture ritroviamo le specie batteriche selezionate non solo per l’azione ambientale su un territorio strettamente geografico, ma anche selezionate dalle consolidate tecniche di allevamento e casearie in uso. Aria, terra, foraggi, fieni, lettiere, attrezzature, tutto concorre alla nascita di un prodotto unico, esclusivo, difficilmente riproducibile lontano dalla propria origine, e di una qualità che se potesse essere paragonata a quella del passato, avrebbe certamente poco da condividere.

Nel caso del siero innesto del Parmigiano Reggiano, il profilo microbiologico dominante è rappresentato dal genere Lattobacillus nelle specie termofile L. Elveticus e L. Bulgaricus. Marginalmente si riscontrano le mesofile L Casei, L. Fermentum e, per il genere  Streptococcus, S. Thermophilus.

Naturalmente l’utilizzo delle damigiane in vetro colme di siero “dolce”, poste ad acidificare per un giorno intero in un ambiente caldo come erano le camere dei generatori di vapore di un tempo, sono solo un reminiscente ricordo. La tecnologia moderna mette a disposizione i fermentatori. Sempre più evoluti, tecnologici e  termo programmabili, garantiscono ottimali curve termiche di acidificazione assicurando apporti di “starter” ben più che significativi.

All’atto pratico, sempre per ciò che concerne il Parmigiano Reggiano, significa addizionare 25/30 litri di siero innesto acidificato a circa 11 quintali di latte. La miscela derivante avrà incrementato la sua acidità di °SH 0,7/0,8 (e questo chiarirà il tipo di coagulazione del latte che definiremo acido-presamica e non viceversa), e si sarà arricchita di oltre 30 milioni/ml di cellule “amiche” le quali andranno a sommarsi alle poche migliaia di batteri lattici già presenti nel latte.

Una miriade di batteri “colonizzatori”, a servizio del casaro che continueranno a moltiplicarsi anche nei giorni successivi la produzione e successivamente morendo libereranno gli enzimi che a loro volta condurranno il processo di maturazione della pasta.

Non ce ne vorrà Pasteur a cui va il nostro pensiero ogni qual volta beviamo un bicchiere di latte che da lui prende il nome, ma ugualmente siamo convinti che, con l’invenzione del siero innesto, anche il modenese Notari abbia estratto dalla manica l’asso vincente.

Grazie professore!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Inizia una nuova discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *