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E’ una vecchia mulattiera che mi conduce a Casera Bosch Brusà

di Michele Grassi

La stagione estiva è iniziata, le malghe sono state monticate e i malgari stanno lavorando per condurre ogni mattina le vacche, e le capre dove sono presenti, sui pascoli.

Ma la stagione non aiuta.

Quest’anno le piogge sono ormai giornaliere e sui monti le notti fredde precedono giornate poco soleggiate e spesso umide. Gli animali pare siano indifferenti a queste situazioni climatiche ma sicuramente non lo sono gli addetti ai lavori.

Proprio in questi giorni mi sono recato in visita a una malga sulle pendice del monte Becher, situata sull’alta via dei Pastori, sotto il groppo delle Marmolade, da non confondere con la molto più conosciuta Marmolada, in comune di Falcade nel bellunese.

La malga è raggiungibile solo camminando lungo un percorso, che pare fatto apposta per escursionisti, in un’ora e mezzo e 500 metri di dislivello dalla frazione Sappade, molto ripido a volte molto stretto, che comunque lascia intravedere che un tempo fosse una strada carrabile, per animali naturalmente. Un’automobile è impensabile possa procedere per questa mulattiera a volte lastricata dalle rocce usurate dal tempo, dalla pioggia e dal ghiaccio.

Nonostante l’impraticabilità a mezzi “normali” il percorso è utilizzato anche dai malgari per arrivare agli alpeggi che lambiscono la struttura rupestre, a volte utilizzando un piccolissimo quattro ruote motrici che può salire e scendere ma con notevoli difficoltà.

Mi diceva il malgaro che ogni volta che scendono, più che nella salita, rischiano la vita, davvero, meglio a piedi.

In effetti la difficoltà a salire e scendere l’ho toccata con mano, e sono ben abituato a pendenze che solo con la forza delle gambe possono essere aggredite.

Una malga con la M maiuscola, una piccolissima realtà dove marito e moglie aiutati dal figlio restano i classici tre mesi per tradizione, passione e amore per la montagna.

La struttura è piccolissima e accogliente, oltre alla saletta dove sono pochissimi tavoli ad accogliere il visitatore, c’è un mini ambiente, probabilmente non raggiunge i 4 metri quadrati dove il malgaro fa il formaggio.

Poche ed essenziali le attrezzature, un paiolo di rame della capienza di non oltre 100 litri, appeso a un braccio di legno incernierato al muro che permette lo spostamento del paiolo stesso dal camino, dove il fuoco che brucia legna,  di abete o larice, riscalda il latte, all’esterno dove avviene il mantenimento della temperatura e la coagulazione; un piccolissimo tavolo spersore in acciaio e una vasca dove il latte viene posto, dentro lattarole, per essere raffreddato, utilizzo che consente anche l’affioramento del grasso.

Non c’è altro, se non lo spazio per il malgaro che ha tutto quanto ho descritto a stretta portata di mano.

La camera per la maturazione dei formaggi è sul fianco della malga ed è accessibile dall’esterno.

Non c’è altro, se non i servizi igienici, davvero igienici, per i visitatori. Non mancano certo gli spazio per i malgari, che naturalmente non ho visitato.

Di fronte alla malga una parte del pascolo, che completa l’ambientazione di un’alpeggio che si può definire boschivo e che un tempo era davvero imponente. Oggi rimangono una decina di ettari di questo splendido pascolo, entità che impedisce la monticazione di molte unità bovine, vacche, oggi non più di 10-12.

I prodotti della trasformazione sono limitati al formaggio semigrasso a pasta cruda, il riscaldamento della cagliata non supera i 42°, che viene leggermente pressata a mano nelle fuscelle, il burro e la ricotta fresca e affumicata (PAT). Prodotti che ho potuto assaggiare ad eccezione del formaggio, non ancora pronto al consumo, visto che la malga è stata monticata solo il 25 giugno.

Burro giallo come fosse una zucca, il grasso proveniente dal latte di prima estate è eccellente, le vacche si nutrono di erbe fresche piene di infiorescenze, e la ricotta affumicata sul larin, lo stesso che viene utilizzato per scaldare il latte per fare formaggio.

Prodotti essenziali, tipici, dettati dalla tradizione e migliorati per le conoscenze che oggi abbiamo, quelli che le malghe facevano una volta, quando si sfruttava la stagione estiva per un’economia rurale, quando gli allevatori erano impegnati a far fieno, mentre gli animali portati agli alpeggi davano il loro frutto al malgaro che lo lavorava.

Casera Bosch Brusà è un biotipo, davvero un residuo storico come pochi, che vede l’uomo, il malgaro e la sua famiglia, al primo posto fra coloro che affrontano la vita con enormi sacrifici ma sempre con il sorriso sulle labbra.

Gli eroi della montagna

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