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Le informazioni dell’etichetta non si devono limitare agli ingredienti

 

di Michele Grassi

Alla domanda cos’è il formaggio si possono ricevere infinite risposte, una della quali riguarda gli ingredienti, che naturalmente portano al latte, e ai coadiuvanti tecnologici.

La normativa italiana non lascia dubbi in materia di latte, ovvero se sull’etichetta si legge la sola parola latte, tra gli ingredienti del formaggio, significa che si tratta di latte vaccino. Qualora invece si trattasse di latte di altra specie animale, il produttore deve avere l’avvertenza di indicare da quale lattifera proviene. Quindi latte ovino, caprino e bufalino devono sempre essere citati anche se miscelati fra loro o con latte vaccino. Questa prima indicazione del principale ingrediente diventa anche necessaria qualora il consumatore fosse mosso da curiosità per capire e percepire le proprietà organolettiche della pasta del formaggio.

Infatti la conoscenza della materia prima permette di ricercare nelle proprietà organolettiche quelle caratteristiche “caratterizzanti” che spesso non lasciano dubbi sulla natività del prodotto acquistato.

Fondamentale quindi questo primo aspetto che ci riporta a considerare l’importanza non solo commerciale ma anche quella gastronomica del formaggio. Naturalmente il latte non è il solo ingrediente, nel caso del formaggio presamico, il secondo indispensabile coadiuvante, anch’esso da indicare sull’etichetta, è il caglio o coagulante, senza il quale il formaggio proprio non prenderebbe vita.

Oggi sull’etichetta, l’indicazione del caglio è del tutto generica, nella maggioranza dei casi, perché non indica con esattezza da dove è ricavato questo importante enzima o miscela di enzimi. L’unica differenziazione che avviene in etichetta è quella che ci consente di capire se il caglio, o meglio il coagulante in questo caso, sia di provenienza vegetale o microbica.

Già, il coagulante vegetale, tanto di moda oggi soprattutto per consentire ai vegetariani di cibarsi del formaggio, è sempre menzionato e a volte viene citata anche l’origine, ovvero l’essenza vegetale dal quale viene estratta la matrice del caglio, quasi sempre la chimosina. Non viene mai citata quindi la fonte animale del caglio, ovvero se deriva da agnelli, capretti o vitelli, ma neppure quella del coagulante microbico, spesso proveniente dal Escherichia coli, estrazione dell’enzima dal suo DNA, forse perché diventerebbe una notizia allarmistica, naturalmente senza motivazione in quanto questo coagulante è di qualità e sicurezza indiscussa per l’utilizzo caseario.

Poca chiarezza quindi o mancanza d’informazione? Credo che l’informazione sia sempre sottovalutata dal legislatore, colui che basa la scrittura delle norma sull’aspetto salutistico e poco su quello della cultura che è invece la base della conoscenza e stimolo della curiosità.

Anche sul sale, terzo e indispensabile ingrediente del formaggio si parla poco e l’etichetta mai chiarisce il metodo di salatura e l’origine del sale. In Italia abbiamo molte fonti da cui si ricava il sale, abbiamo il più bel mare del mondo e saline in quasi tutto il territorio, abbiamo sale raffinato e sale integrale ma abbiamo anche sale ricristallizzato da giacimenti sotterranei, insomma anche il sale, forse non si sa, contribuisce non solo al rendere saporito il formaggio, ma può, in funzione del metodo di salatura e del sale utilizzato, contribuire a rendere le caratteristiche sensoriali del formaggio diverse e ottimali.

Il consumatore deve quindi leggere bene le etichette e cercare di capire, oggi cosa impossibile, i tanti aspetti del formaggio e della sua preparazione sia essa artigianale o industriale.

Ciò che s’indica nell’etichetta è quindi semplicemente un dato di fatto, un unico riconoscimento immediato degli ingredienti principali, ma non è la chiave di lettura del formaggio, essa la si deve ricercare altrove, ma dove?

Chi la deve dare?

Una maggiore informazione sull’etichetta quindi, almeno per i formaggio venduti da commercianti, ma se il formaggio è venduto dal casaro o nello spaccio del caseificio l’informazione è diretta, dal produttore al consumatore.

E il consumatore meno attento ma curioso? È sufficiente che chieda al venditore, chiunque esso sia, che deve essere formato per rispondere correttamente.

Il consumo del formaggio non inizia a tavola ma nel momento in cui lo stiamo acquistando. La sua scelta è già una prima selezione, e la conoscenza di ciò che stiamo acquistando è indice di scelta mirata.

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