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Il consumatore non deve mai esitare a porre domande ed esigere risposte dagli addetti al banco preparati

di Fernando Marzillo

Acquistando formaggio direttamente negli spacci, nei negozi tradizionali e presso i centri della grande distribuzione organizzata, mi imbatto alle volte in situazioni in cui la comunicazione tra le due parti langue o non è corretta. Questo comporta il rischio di ricevere informazioni prive di fondamento (bufale), e concrete delusioni gustative quando il formaggio verrà servito in tavola.

Capita così che una specialità casearia definita Bon Bon di latte, mi venga spacciata per una ricotta, quando invece tra gli ingredienti che la compongono non vi è traccia alcuna di siero, ma unicamente di latte e sale.

Di fronte alla mia richiesta di acquisto di una “punta” di Parmigiano Reggiano stagionato, non metto mai in discussione la veridicità delle parole del mio interlocutore, ma perché allora non sempre viene mostrata al cliente la parte dello scalzo che indica insieme al casello anche il mese ed anno di produzione? Dubbi irrisolti rimarranno anche al cliente che curioso di conoscere le differenze tra il Parmigiano Reggiano ed il Grana Padano, troverà nel prezzo l’unica risposta.

Identico copione per chi trovandosi di fronte ad un banco formaggi in cui il cartellino illustra le caratteristiche di un caprino, scoprirà poi che l’unica presenza dell’agile animale nel formaggio, non sta nel suo latte, ma nell’origine del caglio.

Perfino alcuni consorzi di tutela sembra “si impegnino” a generare confusione. E’ il caso del Raschera d’alpeggio D.O.P. (distinguibile dall’etichetta esplicativa a sfondo giallo anziché verde). Può essere prodotto tutto l’anno nei comuni designati purchè ad una altitudine superiore ai 900 metri. L’alpeggio però, come io lo intendo e come viene definito nei dizionari della lingua italiana è il “luogo di pascolo estivo del bestiame in montagna”, perciò a mio parere sarebbe stata più corretta la dizione: formaggio di montagna.

Anche le sagre e fiere paesane, tanto attraenti quanto frequentate, potrebbero nascondere sorprese ai consumatori che acquistano formaggi palesemente difettati come fossero caratteristici. Tali prodotti poveri al palato per quello che offrono e talora eccessivamente dispendiosi al portafoglio per il tanto che chiedono, sono fonte di delusione per l’acquirente che fiducioso si era accostato al banchetto.

La stessa approsimazione di taluni venditori (per questo non me ne vogliano i tanti banconieri professionali e corretti), l’ho riscontrata a volte stampata nelle pagine di riviste i cui scritti sembrano usciti dalle penne di chi poco conosce la materia. Ho letto di formaggi che vengono classificati in fermentati oppure no e perciò questi ultimi (spesso annoverabili nella categoria dei freschi), più digeribili dei primi! In realtà non esiste una classificazione in questo senso poiché tutti i formaggi sono il frutto di una fermentazione lattica operata da diversi microrganismi .

Quale allora la ragione di questo scritto? Unicamente quella di stimolare la curiosità del consumatore che non deve mai esitare a porre domande ed esigere risposte da addetti al banco preparati, i quali dovrebbero se possibile fare sempre assaggiare i loro prodotti. Il consumatore ne sarà grato, il valore aggiunto dell’esercizio commerciale evidente, come pure quello del formaggio che posto in tavola ne sono certo farà parlare bene di sè.

Forse non sarà il più buono o il migliore, ma la locuzione latina è chiara: essendo il gusto un’ attitudine propria di ciascun individuo, non può essere discussa… “De gustibus non disputandum est”

 

 

 

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