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Burro di affioramento o di centrifuga?

di Fernando Marzillo

Nascer con al cul in’t al buter, significa nascere fortunati tra agi e ricchezze, in sostanza nascere con la camicia. Il proverbio contadino in passato non poteva non caricarsi anche di un valore previdenziale perché, disponendo di un alimento dall’elevato potere saziante quale il burro, si eludevano i rischi connessi ad una scarsa alimentazione.

Nel corso del tempo il latticino ha goduto di buona fortuna: è anche per questo che sono nate produzioni casearie da latte decremato essendo il burro una fonte di ricchezza che oggi più non gli appartiene. Tante volte infatti risulta più conveniente trasferire la materia grassa in caldaia piuttosto che nella zangola (per l’evidente valore aggiunto trasferito al formaggio): così l’eccezione è diventata regola in tanti formaggi freschi e ancor più nella ricotta.

Troppo buono però il burro per non avere rivali. Infatti…inventata nel 1865 sotto il dominio di Napoleone III con l’intento di fornire alla marina francese un surrogato che fosse del burro più economico e conservabile, la margarina, si diffuse sulle tavole dei consumatori sospinta da réclame che ne esaltavano discutibili qualità di leggerezza (l’apporto calorico è uguale a quello del burro), e salubrità (il processo di idrogenazione necessario per trasformare da liquidi a solidi i grassi vegetali, genera acidi grassi responsabili dell’aumento del tasso di colesterolo “cattivo” LDL, e perciò delle malattie cardiovascolari).

Fu poi la volta della scienza medica e del suo ostracismo, al consumo del burro in cucina. Ma…le parole troppo “pesanti” sul suo conto, si sono scontrate con quelle di chi il burro ha sempre amato e, più di recente con i dettati della medicina che, riabilitandolo lo ha reinserito correttamente nell’alimentazione umana. Per queste, ma anche per altre ragioni tra le quali un rifiuto generalizzato all’uso dell’olio di palma, i consumi del burro sono tornati a crescere del 12% (dati Coldiretti anno 2017) con buona pace dei troppi consumatori ancor oggi purtroppo diffidenti.

La base di partenza per ottenere il burro, è naturalmente la panna o crema che dir si voglia. La sua separazione dal latte avviene sfruttando la forza gravitazionale dalla quale si ottiene il burro di affioramento, oppure la forza centrifuga da cui l’omonimo prodotto. I due tipi di burro risultano comunque diversi per caratteristiche di origine e sensoriali. Il burro di affioramento fonda le sue radici nella storia delle produzioni casearie italiane dove, pur avendo valore era anche considerato un sottoprodotto della lavorazione del formaggio. Il secondo al contrario nasce per libera vocazione all’inizio del novecento svincolato da condizionamenti caseari ed oggi è prodotto specialmente nei Paesi del Nord Europa caratterizzati da una forte propensione alla produzione di latte alimentare e di formaggi industriali.

Le differenze sensoriali portano invece a classificare le creme di affioramento in acide, mentre quelle di centrifuga in dolci. Nelle prime lo scopo fondamentale è separare attraverso l’affioramento naturale, il latte scremato “pulito” da avviare alla caseificazione, dalla panna, microbiologicamente più inquinata che prenderà la strada del burro. L’acido lattico sviluppatosi durante la sosta sarà rimosso al termine del processo di burrificazione, attraverso alcuni lavaggi, ma (haimè) insieme al diacetile, ovvero il principale responsabile dell’aroma. Viceversa, nelle creme di centrifuga, la scrematura del latte fresco favorisce un immediato allontanamento dei microrganismi che si concentrano nel latte magro. In tal modo la crema “dolce” ottenuta non risulta inquinata e questo rappresenta un vantaggio sul piano qualitativo nella produzione del burro. Pertanto è assodato riconoscere al burro di centrifuga una qualità superiore rispetto a quello di affioramento. Personalmente però non condivido appieno il concetto perché, seppur corretto, non trova più ragione di essere applicato alle moderne realtà zootecniche dove gli importanti risultati raggiunti sotto il profilo igienico-sanitario, garantiscono, insieme ai locali di affioramento spesso climatizzati, un pieno controllo delle attività fermentative e quindi della produzione dell’acido lattico.

Detto ciò, se di differenze qualitative vogliamo parlare, cito volentieri gli effetti benèfici che il burro ha sulla salute umana, quanto più è ottenuto da animali che si cibano di erba fresca e fieno: una realtà solo apparentemente scontata, ma importante per far compiere al burro (a parità di tecnologia), quel salto di qualità percepibile non solo negli odori, colori e sapori, ma anche nella presenza di alcuni componenti che fanno del latticino un alimento funzionale. Mi riferisco all’elevata presenza dei carotenoidi naturali precursori delle vitamina A; della vitamina D ed E (potente antiossidante naturale), della lecitina (che interviene sul metabolismo del colesterolo aumentandone la frazione “buona” HDL), dell’acido butirrico (per la sua azione antinfiammatoria intestinale e preventiva delle neoplasie al colon) e degli ormai famigliari Omega 3 ed Omega 6. Inoltre le ricerche compiute sul gruppo degli Acidi Linoleici Coniugati (C.L.A.) di cui il rumenico è il più rappresentativo, sembrano garantire una attività antitumorale, antidiabetica, di miglioramento delle difese immunitarie e di protezione contro l’aterosclerosi.

Detto ciò, la demonizzazione del burro per quello che sul suo conto è stato detto e scritto, non può che essere archiviata. Oggi la sua qualità non si misura dalla tecnica di burrificazione, ma anche dalla presenza di elementi funzionali che lo rendono all’interno di un consumo moderato, più apprezzato al palato e più salutare per l’organismo.

 

 

 

 

 

 

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