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Dati preoccupanti dalla Fiera del bovino da latte di Cremona. Si delinea un futuro con la produzione concentrata nell’area Europa nord-occidentale

Dal 2015 la produzione di latte in Europa si concentrerà soprattutto nell’area nord-occidentale, con l’Irlanda sicura protagonista. L’Italia, invece, rischia seriamente di perdere posizioni a causa sia della mancanza di un piano nazionale per il settore lattiero-caseario, sia dell’insostenibile peso dei costi di produzione.

Previsioni fosche che scaturiscono dai dati presentati da Alberto Menghi del Centro Ricerche Produzioni Animali e da Mariella Ronga di Ismea nel corso dell’European Dairy Forum, ospitato in occasione della Fiera internazionale del bovino da latte di Cremona.
Le conclusioni sono inevitabilmente legate all’imminente abolizione del sistema delle quote latte. Menghi, sulla base degli esiti di un sondaggio effettuato in oltre 300 stalle, ha spiegato che oltre un terzo (37%) degli allevatori di casa nostra è intenzionato ad aumentare la produzione, nonostante la mossa potrebbe rivelarsi non vincente in quanto “il prezzo del latte italiano con ogni probabilità non saprà rivelarsi competitivo”.

Viceversa, più di un quarto (26%) è praticamente certo di abbandonare l’attività in tempi brevi per tre ordini di ragioni: la mancanza di una successione all’interno dell’azienda (41%), gli effetti stritolanti della burocrazia (31%) e l’insufficiente redditività (19%).
“A scegliere di implementare la produzione – ha spiegato Menghi – sono soprattutto le realtà di medio-grandi dimensioni, per le quali il potenziale di crescita stimato si aggira intorno al 10%”. Comunque poco, rispetto allo sviluppo previsto per le aziende irlandesi (+30/35%) e tedesche (+15%): basti dire nei Paesi del Nord-Ovest si attende per il 2015 un incremento pari a 10 milioni di tonnellate, tanto quanto l’intera produzione annua italiana”.

Quasi certamente quel “surplus di latte” è destinato a riversarsi soprattutto nella zona mediterranea, “in particolare in Spagna, Grecia e Italia”. La deficitaria situazione italiana è dovuta essenzialmente ai proibitivi costi di produzione. Su un campione di 33 aziende, il Centro Ricerche Produzioni Animali ha calcolato un costo totale medio di 55 euro al quintale. Un valore troppo alto per consentire una sufficiente marginalità. La conseguenza è “il concreto rischio di chiusura delle aziende in un prossimo futuro” ha chiosato Menghi con tono secco.

La tendenza delineata corrobora il quadro tracciato dall’irlandese Tom Dunne, vicepresidente dell’European Dairy Farmers, organizzazione indipendente che accorpa 350 tra i migliori allevatori del vecchio continente: “In Italia gli input di capitale sono i più elevati in Europa, mentre in termini di utili è l’Irlanda a collocarsi al top”.
Nel post quote latte la situazione italiana potrebbe persino peggiorare, visto che altrove si è già investito in un’ottica di espansione, mentre nel Belpaese non è stato creato un adeguato numero di Op e non si è provveduto ad affrontare concretamente il tema dell’interprofessione. Il messaggio risuona chiaro: occorre prendere esempio dall’Europa per alimentare la speranza di recuperare un gap fin qui drammatico.

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