Il latte che odora di buono
Il lavoro e la passione, mi portano spesso in luoghi dove il formaggio è un prodotto della tradizione ultra secolare. Oggi mi trovo in una vallata dolomitica per fare formaggio e nella fattispecie il Malga bellunese P.A.T., originariamente con latte parzialmente scremato ma che si può produrre anche a latte intero. Il suo nome identifica il luogo in cui viene fatto e quindi quando le vacche sono in alpeggio.
Questa mattina mi sono recato nel bosco e dopo un breve percorso su strada sterrata ho raggiunto il ricovero estivo delle vacche. Sono arrivato che la mungitura era in corso, avviene dentro una casupola di legno, delle poche vacche li monticate da un paio di settimane. Trascorrono tutta la giornata all’aperto, rientrano al ricovero la sera per la mungitura e la notte per il giusto riposo.
L’alimentazione delle lattifere è esclusivamente l’erba dei pascoli, altro non gli viene somministrato. Questa mattina all’alba la stagione è variabile. Farà, forse, pioggia durante la giornata.
Immersa nell’acqua fredda della fontana, all’esterno del ricovero delle vacche, c’è la lattarola piena, si tratta del latte della munta di ieri sera. Intanto che la mungitura prosegue provvedo a recuperare il latte già pronto.
Dalle due munte risulta una piccolissima quantità di latte, che mi consente di riempire parzialmente il paiolo. Ieri, in previsione della lavorazione odierna, avevo preparato il lattoinnesto che oggi utilizzo. Il latte, prevalentemente di Bruna e Pezzata Rossa, è straordinario, il colore è avorio ed emana un odore vegetale e animale tanto intenso che non pare proprio latte. Dopo breve riscaldamento aggiungo il lattoinnesto e in seguito caglio la massa fortemente odorosa.
Segue poi il processo di caseificazione che vede nascere 2 formaggi dal colore già paglierino. Tutto odora di buono, il latte, il siero, la ricotta che assume odori intensi e il classico colore di questo latticino bianco non è ma giallino.
Dalle forme, poste sotto peso, ritaglio lo Schiz, altro formaggio P.A.T. che si ottiene, con il metodo originario, dagli “scarti” della pressatura. Questo formaggio è oggi molto apprezzato e i caseifici, per produrne in quantità ottimale, lo prelevano da cagliate semicotte con estrazione manuale. Lo Schiz è oggi il mio pasto. Lo metto in una padella preriscaldata e leggermente cosparsa di sale fino a quando non sarà ben rosolato. Mancano finferli e polenta, peccato.
Il lavoro procede, bisogna rivoltare le forme alcune volte, ritelarle e poi posizionarle sulla scalera di legno in attesa della salatura. Termina la giornata con un bel sole che esce dalle nuvole ma è ora di rientrare. Domani, con lo stesso latte, farò altri formaggi e poi questa breve escursione dolomitica terminerà.
Bastano 2 mesi di stagionatura per degustare alcuni dei formaggi fatti in questi giorni. Due mesi durante i quali le forme saranno rivoltate, spazzolate, lavate, insomma curate, per concedere loro di raggiungere l’eccellenza. Vi terrò informati.