Davvero è il periodo delle malghe? Dovrebbe, quando sono aperte però. Capita troppo spesso di indirizzare la camminata, l’escursione verso mete alpine che possono appassionare tutti, caratterizzate spesso da soste intermedie come le malghe. Magari sul percorso che conduce al rifugio, alla forcella e perché no alla vetta, si incontrano malghe in ampi alpeggi verdeggianti dove animali al pascolo rappresentano il meglio che c’è per il benessere animale e quello gastronomico, visto che il latte di tali animali è trasformato direttamente in latteria, in malga.
Ma, c’è un ma. Troppo spesso la meta agognata, almeno per il sottoscritto, è abbandonata, abbattuta, diroccata, chiusa. E già quest’anno sulla stessa meta verso una forcella di alta quota mi è capitato di incontrare (volutamente) due malghe, la prima a bassa quota, ovvero da dove partiva la lunga camminata, da sempre considerata un punto di riferimento, per i turisti amanti del buono, e in perfette condizioni, attrezzatissimo, bellissima curiosissima, chiusa. Come chiusa! Chiusa.
Ovvio che il malgaro, di nuovo contratto con il comune proprietario delle strutture e dei pascoli, non si preoccupa di segnalare se la chiusura è giornaliera, o stagionale ma lo si può notare sbirciando la finestra di quella che era, vi sono stato più volte, lo spaccio, il locale della vendita prodotti aziendali. Tutto sottosopra, tavoli, sedie e il banco di vendita non c’è. La stalla è chiusa con lucchetto, sembra nuovo. Il pascolo ben recintato è calpestato da poche vacche, almeno quelle visibili, che rappresentano l’eccellenza di manze e vitelli, ma mammelle gonfie di latte non ce ne sono. Ovvio no!
Mi incammino di nuovo verso le alture tramite una strada, carrabile solo da fuoristrada, fino a giungere a un paesaggio mai visto e di una bellezza, panorama, talmente belli da far ritornare il fiato perso dalla camminata. Si ferma il respiro, per molti secondi tanti, ti giri attorno e vedi la parete della regina delle Dolomiti e poi in lontananza le più alte vette dei vari gruppi.
In basso 500 metri più in giù appare la malga appena lasciata e chiusa, ma ciò che fa tornare il fiato molto più appesantito di prima è l’abbandono di questa malga. Cinque o sei fabbricati, stallette di pietra con il tetto di legno, aperte ma inutilizzate, una è diventata un bivacco anche piuttosto malandato per l’abbandono, cosa servirà mai se il tetto è aperto? Abbandono e abbandono. Silenzio e abbandono. Ma la malga c’era, il primo dei fabbricati che si incontrano salendo, a sinistra, esposto al panorama, nascosto dal pascolo che giunge a ridosso della casera.
Un fabbricato dove le finestre sono tappate con assi di legno ma l’abbandono ne ha aperte alcune. Pare sia stato oggetto di ristrutturazione quella, ben evidente guardando dalla finestra spalancata al piano terra, pazzesca ristrutturazione poi abbandonata in fase di esecuzione. Si notano ancora le tracce coperte dalla malta cementizia di impianti fatti e lasciati a metà, di intonaci nuovi ma ormai vecchi, di una parte del tetto che forse Vaira l’anno corso ha fatto volare via. Etto e un camino a terra, dalla parte dell’immenso panorama.
Un abbandono da piangere.
E così si fanno meno le maghe che malgari poco allenati a far malga, provocano, amministratori che non sanno bene cosa fare di questi monumenti in mezzo alle montagne, una volta grandi risorse non solo economiche ma naturalistiche, gastronomiche, e incapaci di decidere la loro sorte. Comuni, Comunità montane, Regole che delle malghe non frega niente, sono solo impicci, gravi problemi e luoghi di poco interesse. Ma il formaggio gli amministratori lo mangerebbero, magari senza comprendere il suo valore salutistico e organolettico ma lo mangerebbero.
Due malghe su due, chiuse, la prima con l’auspicio possa riprendere l’attività e la seconda pure, ma piuttosto di incontrarla ancora in quelle condizioni, meglio abbatterla, farla sparire dal pascolo, dove ho contato un cavallo e forse una mucca, trasformare il sito in qualcos’altro, magari solo un panorama stupendo arricchito dal nulla, perché se rimangono casera e stallette in quelle condizioni il nulla non c’è, c’è la disperazione.