Un buon bicchiere di latte crudo, dal distributore naturalmente
Latte crudo? Tra le sue virtù quella di ridurre le manifestazioni allergiche
di Fernando Marzillo
La pagina attraverso la quale mi accingo a scrivere articoli che vedono come protagonista il formaggio, non può a mio parere prescindere dal trattare la sua materia prima. Abituale consumatore di latte, ho sempre rispettato questo alimento cercandone di capire, nel tempo, le sue caratteristiche.
Da bambino non apprezzavo il “latte del contadino” che con quel sapore intenso e quella fastidiosa panna, si allontanava dalla mia visione ideale di latte: quello buono era solo quello confezionato, magari nelle confezioni piramidali da mezzo litro. Non andava bollito, si conservava più a lungo e mai e poi mai affiorava la panna in superficie. Non perché il latte fosse stato scremato, ma perché il processo di omogeneizzazione rendeva i globuli di grasso talmente piccoli da impedire una loro naturale risalita verso l’alto.
Crescendo sono stato attratto dal lavoro di comunicazione che si può fare sulla confezione (packaging), ma soprattutto dalla dicitura “fresco pastorizzato” riportata su ogni contenitore. Affascinante il trattamento di risanamento termico attraverso il quale utilizzando in combinazione le variabili temperatura e tempo (72 °C per 15 secondi), tutti i microrganismi, patogeni per l’uomo, vengono eliminati.
Conoscendo la materia, ho accolto di buon grado l’arrivo dei primi distributori di latte crudo il cui obiettivo era quello di offrire al consumatore qualità, coniugando anche l’aspetto economico e sostenibile.
Ma come è possibile che il latte si possa (o meglio si potesse) bere crudo a dispetto del dogma alimentare che vuole il suo consumo essere sempre associato ad un previo trattamento termico così come da generazioni c’è stato insegnato?
Miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e di salute degli animali, rispetto dei strettissimi regolamenti che le autorità sanitarie di competenza impongono agli allevatori e controllo accurato della seppur brevissima filiera produttiva. Tutto ciò ha portato nel corso degli anni ad ottenere latte con profili microbiologici estremamente bassi, quasi sterili, con assenza di patogeni per l’uomo. Condizione questa positiva per il latte destinato al consumo diretto, viceversa, talvolta causa di problemi per la sua trasformazione in caseificio.
Tuttavia a seguito di vere e/o presunte tossinfezioni alimentari, attualmente il produttore per continuare la vendita deve apporre a caratteri ben visibili e di colore rosso un cartello con la dicitura: “prodotto da consumarsi solo dopo bollitura”.
Viene meno allora il nobile intento di offrire al consumatore un alimento eccellente, che tra le sue virtù potrebbe avere la capacità di ridurre le manifestazioni allergiche nei soggetti che lo consumano abitualmente, come alcune ricerche del nord Europa dimostrano? O forse è meglio indirizzare la nostra mente e conseguentemente i nostri consumi verso prodotti di assoluta sicurezza sanitaria ovvero a rischio zero che peraltro non esiste?
Se si aprisse un dibattito ognuno porterebbe le sue convincenti ragioni per sostenere l’una o l’altra tesi.
Nel mio piccolo, anche perché il latte mi rimanda sempre ad un concetto di vita intesa nella più ampia espressione del termine, voglio continuare a sostenere gli allevatori. Porto sempre con me in macchina un paio di bottiglie vuote, pronte ad essere riempite di quell’oro bianco che purtroppo oggi viene pagato al produttore troppo poco (30/35 centesimi al litro), ma che arriva nei banchi frigo dei negozi a prezzi troppo alti (anche abbondantemente oltre i 2 euro al litro).
Se poi la fatica è quella di bollirlo, arrivato a casa il termometro mi viene in aiuto: riscaldo il latte a 72° C. per 15 secondi. Ottengo un prodotto ottimo pastorizzato dal giusto prezzo e buonissimo. Anche con la panna…