L’editoriale / Ttip, una partnership Usa-Europa che s’ha da fare
Il progetto di accordo di libero scambio che si sta discutendo libererebbe i nostri produttori da costose penalizzazioni burocratiche. A patto che…
di Giovanni Bertizzolo
Partiamo da un dato di fatto: l’Italia è il primo Paese al mondo per quantità di formaggi esportati negli Usa. Nonostante le penalizzazioni di dazi e burocrazia che deve affrontare. L’importazione dei formaggi di latte vaccino, ad esempio, è contingentata e soggetta a quote e licenze imposte dall’U.S. Department of Agriculture (Usda) per proteggere la produzione nazionale. La vendita al di fuori del sistema di quote è permessa, ma comporta il pagamento di dazi doganali più elevati da parte dell’importatore americano, circostanza che limita la competitività del prodotto.
Questi paletti penalizzano pesantemente il potenziale export delle nostre aziende. In poche parole, negli Usa si vende bene, ma si potrebbe vendere molto di più. Soprattutto potrebbero vendere anche le piccole e medie aziende oggi scoraggiate dalle imposizioni doganali a prendere iniziative idonee.
Alla luce di tutto ciò, non possiamo che essere favorevoli al Ttip. Cos’è? La Transatlantic trade investment partnership, un progetto di accordo di libero scambio tra Usa e Ue. Sostanzialmente un’intesa (destinata ad alterare gli equilibri geopolitici globali) che porterebbe all’abolizione dei dazi e alla riduzione delle barriere non tariffarie, incentivando il dialogo tra i due principali attori del commercio mondiale (2 miliardi di euro scambiati ogni giorno).
Le trattative tra Usa e Ue sono iniziate nel luglio dello scorso anno, hanno poi subito un’interruzione, adesso sembra esserci la volontà di accelerare per concludere. Con l’Italia che anche in questo caso si trova a giocare un ruolo fondamentale in Europa in quanto a luglio le toccherà assumere la presidenza del Semestre europeo. Tralasciando le pur importantissime ricadute economiche e la creazione di nuovi posti di lavoro che contemplano l’accordo, ci preme qui perorare a priori la causa, a patto che negli Usa riconoscano la tutela delle denominazioni di origine riconosciute dall’Unione europea (Dop in testa), tanto importanti per noi, ma duramente criticate dalle imprese statunitensi che le ritengono un ostacolo alla “libera circolazione”. Loro la chiamano furbescamente così, di fatto è una realtà che incentiva la contraffazione, tanto che il 90% dei formaggi italiani in vendita negli Usa sono taroccati. Una Ttip ben congegnata, spalancherebbe le porte a stelle e strisce ai produttori europei, con l’Italia in pole position.
Dice bene John R. Philipps, ambasciatore Usa nel nostro Paese: “Negli Stati Uniti e in Italia la vasta maggioranza delle imprese è piccola e media. Sono queste Pmi che rappresentano l’architrave delle nostre economie e sono anche tra quelle che beneficeranno di più della partnership transatlantica”.
E’ infatti verosimile pensare che riducendo le tariffe doganali aumenterà l’export dei nostri caseifici, i quali potranno così farsi conoscere in un mercato strategico. La Ttip ridurrà anche tutti gli ostacoli burocratici connessi ai diversi mercati, statunitense da una parte, europeo dall’altra.
Particolare non trascurabile: negli Stati Uniti vivono 320 milioni di persone. Tanti hanno un reddito sufficiente per acquistare prodotti di qualità e amano il Made in Italy. Bisogna però dar loro il tricolore “vero”, non quello storpiato da qualche yankee in Wisconsin o in California.