L’editoriale / Avviciniamo i giovani al formaggio. Con il coraggio
La generazione 18-24 anni è quella che consuma meno prodotti caseari. Occorre indirizzarla seguendo le loro abitudini. A partire dalla movida serale
di Giovanni Bertizzolo
Nei primi mesi dell’anno in corso, una ricerca Gfk Eurisko condotta da Isabella Cecchini ha scandagliato il consumo di latticini e formaggi in Italia. In particolare, l’attenzione si è soffermata su “i cambiamenti nel tempo e l’identikit del consumatore”.
L’indagine si concludeva con risultati lusinghieri per il comparto: consumo centrale per gli italiani, tanto che per 2/3 (oltre 30 milioni) latticini e formaggi fanno parte della dieta quotidiana. In generale, gli intervistati (9.570 casi rappresentativi della popolazione italiana dai 18 anni in su, pari a circa 48.500.000 individui) dichiaravano di consumare latticini, yogurt e Grana almeno 4-5 volte alla settimana; formaggi freschi e stagionati almeno 2-3 volte alla settimana.
Le varie voci della relazione finale, però, evidenziavano un dato sul quale meditare. Analizzando i consumatori abituali di latticini, yogurt e formaggi per età, infatti, l’inchiesta individuava il numero maggiore tra uomini e donne con più di 64 anni (il 25%). Il consumo minore era registrato tra i giovani dai 18 ai 24 anni (9%). Tendenza confermata dallo studio dei consumatori abituali di formaggi freschi, stagionati e Grana: al top si confermavano gli over 64 (22%), sul gradino più basso salivano ancora i giovani dai 18 ai 24 anni (11%).
Tirando le fila, in Italia il consumo del formaggio va, ma il target giovani è in controtendenza.
Constatazione ancora più preoccupante se guardiamo avanti, ai prossimi anni, con i cambi generazionali in atto nel costume, nell’economia, nella cultura, nell’alimentazione.
Perché il target chiamato dagli osservatori “giovani adulti” mangia poco, o nulla, formaggio? Perché preferiscono altro? Perché stanno attenti alla cosiddetta “leggerezza”? Perché non vengono raggiunti da una comunicazione sintonizzata sui loro stili? Perché non trovano prodotti ad hoc?
Le motivazioni possono essere tante e vanno tutte valutate attentamente, perché qui c’è in ballo una bella fetta della torta-mercato.
Nel nostro piccolo, ci permettiamo di identificare nel linguaggio comunicazionale un gap da superare (formaggio.it si sta adoperando in questo senso). I giovani considerano poco i formaggi non per motivazioni di non-gradimento, ma di non-orientamento. Per indirizzarli bisogna che i formaggi vadano da loro. Cosa che non stanno facendo.
In primo luogo, sarebbe importante presidiare i luoghi di aggregazione. Internet innanzitutto, perché è una generazione cresciuta on line. E poi dove va in scena la loro ritualità. Prendiamo la movida serale. Continuiamo a vedere molti locali (anche alla moda) che propongono happy hours con aperitivi e stuzzichini variopinti. Laddove scaglie di Grana o cubetti di Provolone (tanto per fare due esempi banali…) andrebbero a nozze. Il massimo sarebbe mettere sul bancone dei taglieri con formaggi tipici di varie regioni d’Italia, spiegando loro caratteristiche e proprietà (a cominciare dalla demonizzazione dei grassi…).
A onor del vero, alcuni Consorzi di tutela stanno lavorando sul marketing per incidere di più sul consumo dei giovani. Ma abbiamo l’impressione che si proceda con troppa avvedutezza. A volte bisognerebbe avere più coraggio, non a caso qualità che alberga in chi ha meno anni…
Un caso clamoroso, al riguardo, è il McItaly del 2012, il panino con Asiago Dop distribuito nei 442 ristoranti McDonald’s d’Italia. Il tutto accompagnato da una campagna di comunicazione incentrata su una band teenager, I Moderni. Iniziativa abortita già dopo pochi mesi, anche a causa di critiche feroci (si arrivò a parlare di svendita delle nostre tradizioni culinarie…) che investirono l’allora ministro delle Politiche agricole Luca Zaia. Iniziativa oggi seguita da Barilla con l’insalata di pasta. Che di critiche non ne solleva e ha incrementato il business e il mercato dell’azienda di Parma.
In quella occasione, si partì bene e si finì prematuramente. Il settore caseario, istituzioni comprese, subì passivamente un attacco che suonava molto come strumentale. Mancò di lungimiranza. Da allora, sono passati due anni e mezzo. Abbastanza per ritrovare un po’ di coraggio?