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“Dobbiamo mettere in campo un piano d’azione straordinario per i giovani nel settore agroalimentare, per dare risposte a chi cerca futuro nel nostro Paese in un comparto dove ci sono importanti opportunità”, parole del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina.
Belle parole e programmi auspicabili. Puntare sui giovani non è un’opportunità, ma un obbligo. Soprattutto nel settore lattiero-caseario. La realtà, però, è scoraggiante.
L’autunno scorso ero in un caseificio emiliano che produce un buon quantitativo di Parmigiano Reggiano Dop. Parlando con il casaro, uomo di una certa età, gran parte della vita passata a fare ciò che più gli piace, il formaggio, è saltato fuori il discorso dei collaboratori, degli “aiutanti”.
“Qui se ne trovano pochi e solo stranieri”, ha ammesso il casaro, mal celando il disappunto.
“E i nostri ragazzi?”, ho chiesto. La risposta è stata lapidaria.
“Questo è un lavoro di sacrificio e di fatica. Ci si alza prestissimo e non si sa quando si finisce. Posti di fronte a questi obblighi, i giovani del posto preferiscono andare altrove…”.
Eccola la realtà. Le tradizioni da portare avanti, un lavoro sano, utile, ecologico: tutto passa in sott’ordine. “Preferiscono andare altrove…”.
D’altronde, anche i numeri la raccontano così. In sei anni, solo sei anni, il numero delle nostre stalle è crollato. Quindicimila che producevano latte e formaggi sono state chiuse. Non solo. Coldiretti fa notare che in un anno sono scomparsi ben dieci milioni di mucche, maiali, pecore, capre, galline, oche e conigli.
E le stime annunciano altri dolori. Nel 2020 (fra sei anni) il settore lattiero-caseario produrrà solo il 5% in più rispetto a oggi, mentre le stalle scenderanno ulteriormente di numero, fino a circa 23mila strutture.
Chiusura e svuotamento. Questa è la realtà. Con i ricambi generazionali che non ci sono e i giovani che prendono altre strade.
E sappiano tutti che meno stalle e meno animali si traducono in un numero minore di possibilità di evitare il falso Made in Italy alimentare negli scaffali dei supermercati.
Ben vengano quindi gli incentivi (se ci saranno…) per portare i giovani nelle stalle, nelle fattorie, nei caseifici. Ma non basteranno.
Serve anche un’azione culturale di recupero dei valori e dei saperi. E questa, molto probabilmente, sarà la fase più ostica del ventilato cambio di passo.
Giovanni Bertizzolo

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