Sei in > formaggio.it > Fausto Morabito > RicoTTi d'infanzia: Palizzi, il mare e zia Ciccilla

Ci sono suoni, immagini, parole, profumi e ricordi che ci portiamo dentro e che rimangono sopiti nel nostro “cassetto dei ricordi” ed aspettano soltanto il momento giusto per riaffacciarsi per farci rivivere i momenti a cui sono legati…
Fuscelle, una parola che mi rievoca la “mia” costa Jonica, la casa di mia zia Ciccilla e di zio Enrico, una vita trascorsa a lavorare la terra arsa dal sole, in un paese in cui il mare era il grande richiamo che d’estate portava “i forestieri”, quelli che non sapevano parlare il dialetto, quelli che non conoscevano i piatti della tradizione locale (i maccheroni al ferretto con sugo di capra, la soppressata calabra, i fichi incannizzati e tante altre bontà).
Io ero un bambino, anzi per tutta Palizzi Marina ero “il nipote di….”, tanti gli zii che andavo a trovare con piacere, tanti i cugini con cui giocare, tanti i cortili, gli orti e i prati in cui ho scorrazzato e tanti gli scorci che riaffiorano alla mente.
Il sole dettava i ritmi e le giornate, un sole che trasformava i campi non irrigati in “terra bruciata” e che pennellava i paesaggi con tutte le tonalità del giallo, il sole che costringeva tutti alla ricerca dell’ombra e che mia zia (all’anagrafe Francesca ma per tutti Ciccilla) conosceva bene e che non fermava il rito del tardo pomeriggio.
Seggiola all’ombra davanti alla casa, con accanto zio Enrico ed io, a salutare i passanti e chiacchierare con la comare ed i vicini di casa, tutti i giorni alla stessa ora fino al rientro che segnava l’ora di cena e qualche momento di televisione….
Tutti i pomeriggi scanditi dal sole, dalle sedie che si spostavano seguendo l’ombra e che trascorrevano uguali e venivano interrotti da poche situazioni, una di queste …. le fuscelle, due tipi di fuscelle, quelle lunghe di latta e quelle più grandi di vimini che racchiudevano freschissime ricotte di capra.
Di solito succedeva giovedì, non sempre e per questo era un momento ancora più atteso, si sentiva il rumore dei campanacci appesi al collo delle capre, l’abbaiare del cane e l’arrivo del pastore che si trasformava in freschissime e candide ricotte che sarebbero state la nostra cena, accompagnate da pomodori appena colti e pane di grano fatto in casa.
Io ero affascinato dalle fuscelle in latta che racchiudevano la ricotta “lunga” come in un piccolo scrigno ed assistevo, affascinato, al rito dell’apertura e dell’estrazione della ricotta nel piatto che avevo preso, in cucina.
Quando don Micu (avevo dimenticato di presentarvi Domenico, il pastore), ne aveva qualcuna in più da vendere, sapevo che due o tre sarebbero state salate all’esterno, per diventare (in poco tempo) un fantastico formaggio da grattugiare sulla pasta, ed una che sceglievo personalmente, sarebbe diventata il mio primo esperimento dolce in cucina.
Schiacciata con i rebbi assieme a zucchero e cacao in polvere oppure, quando avanzava un goccino di caffè, ecco la variante che mi faceva sentire “adulto” perché potevo, finalmente, assaggiare qualcosa di proibito.
Fuscelle, sole, pomodori, zucchero, cacao, caffè, don Micu e campanacci… tanti i ricordi ed ancora oggi la ricotta, fresca e pura, salata e stagionata, zuccherata nei dolci, impanata e fritta, in mille varianti, mi accompagna e fa rivivere Palizzi, il mare e zia Ciccilla.

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